Chi è l’insegnante? Un testimone di desiderio…

Il desiderio – di conoscere e non solo – testimoniato dagli insegnanti può evitare che la scuola si appiattisca sulla cultura dominante e soffochi, oppressa da burocrazia, progetti e protocolli anonimi e a-finalistici

Il nostro tempo è segnato da una profonda decadenza educativa. Nel solco di questa emergenza si situa anche la crisi dell’istituzione scolastica, in difficoltà sotto diversi aspetti, alcuni dei quali, sociali, economici, culturali, le rendono sempre più complesso l’esercizio delle sue imprescindibili funzioni. Tra esse può essere interessante concentrarsi sull’attività pedagogica degli insegnanti nei confronti degli allievi. Al netto del primario e indifferibile compito educativo – spesso, purtroppo, carente – che dovrebbe essere assunto dalle famiglie nei confronti dei figli, la mansione degli insegnanti è a tal punto decisiva che concentrarsi sul loro ruolo e cercare di rimettere a fuoco l’obiettivo di questa professione, così socialmente ed economicamente bistrattata, potrebbe essere d’aiuto alla scuola, ai discenti di ogni ordine e grado e all’intera comunità sociale.

L’istituzione scolastica e per riflesso gli insegnanti, stretti fra la morsa soffocante del precariato e della burocrazia, subiscono, necessitati dal susseguirsi delle indicazioni nazionali, l’impellenza di promuovere negli allievi l’adattamento al tempo ipertecnologico e iperperformante. La scuola si trova così a competere con una società in continuo divenire che chiede l’allenamento di menti-mondo capaci di sostenere una molteplicità di input informativi. Se da un lato rimanere al passo con i tempi è indiscutibilmente un’istanza inaggirabile e il fondamento di una considerevole competenza, dall’altro seguire pedissequamente l’ordine del mondo fa collassare l’essenza stessa dell’istituzione scolastica.

Il tempo lento dell’approfondimento

La scuola si dovrebbe ergere a baluardo del pensiero critico, luogo istituzionale della veglia intellettuale, argine ad ogni deriva totalitaria del pensiero unico e della censura ideologica. In questo senso la scuola è bene che scorga il cambiamento e in parte vi si adatti, ma che non vi si pieghi mantenendo invece la sua alterità indissolubile, insegnando a governare il cambiamento e a navigare consapevolmente nella complessità.

L’alterità che la scuola deve mantenere si declina innanzitutto nell’educare alla profondità di pensiero: istanza difforme dalla superficialità liquida e disorientante del discorso dominante. Se i paradigmi socio-culturali richiedono flessibilità e velocità nel passare da un input all’altro, come sarà possibile per un docente chiedere di leggere, studiare, pensare e scrivere? Queste ultime attività richiedono il tempo lento della concentrazione e della cura del particolare, la paziente fatica del concetto. La scuola rischia così di diventare speculare alla realtà sociale e ancor più a quella virtuale. La vita on-line si configura come diametralmente opposta all’attenzione, allo sguardo impegnato e alla comprensione, in favore della vorticosità travolgente. Una scuola così intesa rischia di naufragare sotto l’ideale delirante di un tentativo, fallace in partenza, di inseguire il presente, quando invece lo dovrebbe in primo luogo interrogare criticamente.

L’insegnante, un testimone

In questo orizzonte di evaporazione della mission scolastica va ribadito – come ha magistralmente evidenziato Massimo Recalcati nel saggio L’ora di lezione – il valore del momento della lezione, il ruolo dell’insegnante e la centralità del discente. Secondo il filosofo e psicoanalista milanese, l’insegnante è chiamato innanzitutto a dare testimonianza del proprio amore per il sapere. Egli non deve trasmettere semplicemente la conoscenza, – si tratta infatti di uscire da una logica cumulativa e nozionistica – ma ha il compito etico di accendere il desiderio per il sapere. Questo si può raggiungere solamente attraverso un docente che manifesta un certo atteggiamento verso la conoscenza. Invero, il buon insegnante non è colui che riversa il suo sapere sugli allievi, ma colui che mostra la sua mancanza di conoscenza come base per il desiderio della ricerca culturale. In tal senso l’insegnante è, socraticamente, educatore (da educere, condurre fuori), che affianca l’allievo cercando di accendere in lui il fuoco sacro della sapienza. Un sapere che non colma il vuoto ma che continuamente lo alimenta mantenendolo aperto verso il nuovo che ancora è da conquistare.

Il maestro, per essere testimone, deve incarnare il suo desiderio per il sapere. La sua vocazione deve contaminare quella degli allievi. Affinché questi desiderino sapere è necessario che il maestro viva il suo desiderio. I maestri rimasti per noi indimenticabili positivamente non sono forse coloro che hanno manifestato coerentemente la loro attitudine per il sapere, donando agli allievi il proprio modo di personalizzarlo? Questa dinamica di desiderio rende l’ora di lezione aperta alla novità, non ripetitiva ma sempre viva e generativa. Recalcati sostiene che ciò che conta in un insegnante non è solo quanto dice ma da dove origina la sua parola, quale desiderio la attraversa. In questo sta la forza e lo stile singolare del maestro. Ecco perché l’elaborazione del sapere è sempre condizionata dalla relazione che si crea. Come il vero professionista della relazione d’aiuto non si sostituisce al cliente o al paziente, ugualmente il vero maestro non fa al posto dell’allievo ma cerca di attivare in quest’ultimo la ricerca di sapere. L’ora di lezione non è di per sé esaustiva, proprio perché deve mostrare l’inesauribilità del sapere e così l’apertura incessante dell’individuo verso di esso. Di fatto, è possibile affermare che il vero maestro è colui che è in grado di erotizzare l’oggetto del proprio insegnamento rendendolo desiderabile.

Solo passando attraverso la figura del maestro-testimone di desiderio e abitato dalla mancanza si può consentire ai giovani allievi di trovare la propria unicità. La condizione preliminare è che ciascun educatore, ciascun docente, chiarisca a se stesso il senso della propria esistenza, il proprio desiderio verso il sapere e soprattutto il nobile compito educativo, che è sempre compito etico, al quale è chiamato. Aggiungiamo che è anche a partire da questi inaggirabili indicatori che gli insegnanti andrebbero selezionati, assunti e valutati.

Concludendo, è bene sottolineare che la forza generativa del desiderio può delinearsi come l’occasione per arginare la crisi educativa, psicologica e culturale del tempo presente. Più nello specifico il desiderio testimoniato dagli insegnanti può evitare che la scuola si appiattisca sul discorso dominante e rimanga oppressa da burocrazia, progetti e protocolli anonimi e a-finalistici. Il desiderio come cifra umana fondamentale può invero favorire l’emergere dell’unicità soggettiva degli insegnanti e degli allievi. L’ora di lezione può manifestare tutto il suo potere trasformativo e salvifico per l’esistenza, non solo perché si conosce un maestro, ma soprattutto perché si può comprendere se stessi incontrando il proprio desiderio. In questo riposa il compito generativo della scuola che va, sempre e di nuovo, valorizzato e salvaguardato.

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