Venerdì
24 gennaio 2014. In Etiopia, ad Addis Abeba, venne firmato un cessate
il fuoco tra le forze fedeli al presidente Salva Kiir e quella dei
ribelli fedeli all’ex vicepresidente Riek Machar.
Entrambe
le parti in conflitto ritenevano che il cessate il fuoco fosse una
misura temporanea, ma che tuttavia sarebbe continuata, anche in
seguito, la negoziazione.
Lunedì
10 gennaio 2014. Le forze non hanno mantenuto i patti.
L’intesa,
raggiunta dopo mesi di combattimenti che hanno causato oltre mezzo
milione di sfollati e migliaia di morti, tra cui donne e bambini, è
rimandata a data non definita.
È
possibile che all’origine della decisione ci siano contrasti sulla
partecipazione ai colloqui di sette dirigenti liberati e trasferiti
in Kenya il mese scorso, dopo essere stati arrestati a Juba, in
relazione a un presunto tentativo di golpe denunciato da Kiir il 15
dicembre.
Intanto,
la popolazione continua a subire le conseguenze di questa instabilità
politica. Sono più di 70.000 le persone che hanno cercato riparo
nelle strutture delle Nazioni Unite, per paura di essere uccise.
Secondo i dati ufficiali i morti sarebbero circa 1.000, anche se i
rapporti provenienti dai luoghi di battaglia parlano di 3.000-4.000
vittime, senza contare i dispersi.
I profughi
sarebbero almeno 400.000, ma il numero delle persone
costrette ad abbandonare le proprie case è tristemente destinato ad
aumentare e si calcola che gli sfollati potrebbero arrivare a 600.000
in poco tempo.
Le
numerose organizzazioni umanitarie continuano a denunciare le
atrocità che vengono commesse sui civili, da entrambe le parti:
stupri, violazioni ai diritti umani sono all’ordine del giorno.
I
bambini muoiono per malnutrizione e malattie, quali il morbillo e la
malaria, che potrebbero benissimo essere prevenute in una
situazione di pace. Nonostante a fine gennaio siano atterrati
all’aereoporto di Juba 35 tonnellate di aiuti umanitari, tra cui
farmaci, alimenti terapeutici, kit chirurguci ed ostetrici ed altro,
questo non basta a supplire i danni provocati dal clima di guerra.
Il
Sud Sudan è uno stato che si presta bene, purtroppo, a guerriglie di
tipo non solo locale, dovute al controllo del territorio, ma anche a
conflitti più estesi, visto che la più grande risorsa economica
del territorio è il controllo dei pozzi di petrolio.
Missioni Don Bosco in Sudan: la situazione
Suor Giovanna Sguazza, comboniana, in Sudan
il VIS ed i progetti di pace per il Sudan ora sospesi
http://www.misna.org/altro/slittano-i-colloqui-di-pace-a-juba-incertezza-e-paura-10-02-2014-81
http://www.volint.it/vis/vis-sudan-la-storia-di-alwaleed-un-esempio-di-solidariet%C3%A0-che-si-rinnova-grazie-alla-formazione
3.html