Sul web stamattina si legge questa storiella:
«Stamattina sono entrato in un piccolo bar in Belgio ed
abbiamo ordinato. Mentre andavamo verso il nostro tavolo, sono arrivati due
signori e si sono avvicinati al bancone. “5 caffé per favore, 2 per noi e
3 in attesa “. Hanno pagato, hanno bevuto i loro due caffé e sono
andati via. “Cosa vuol dire caffé in attesa?” ho chiesto al mio
amico, e lui rispose: “Aspetta e vedrai”. È entrata altra gente,
prendeva il caffé ed andava via. Il prossimo ordine è stato di 3 avvocati, 3
caffé per loro e 4 in attesa. Mentre io pensavo ancora a cosa vuol dire
‘caffè in attesa’, gli avvocati hanno pagato e sono andati via. Un attimo dopo
è entrato nel bar un signore anziano, con dei vestiti vecchi, assomigliava ad
un senzatetto, si avvicina al bancone e chiede con entusiasmo “avete un
caffè in attesa?”, il barista prepara e dà il caffè al signore»
È un esempio di un’usanza antica di Napoli, diffusasi poi in
altri Paesi del mondo. Il concetto è molto semplice: invece di ordinare il
proprio caffè e basta, se ne ordina uno “normale” ed uno “in
attesa”, o “sospeso”, che il barista servirà a chi lo chiede.
Esiste anche una Rete del Caffè sospeso, che ha anche un sito e
che ha indetto per l’ormai lontanissimo 10 dicembre 2011 la giornata del caffè
sospeso, iniziativa da ripetere.
È un piccolo gesto di solidarietà che può fare la
differenza, non tanto per il caffè in sé, ma per abituarci a pensare anche agli
altri e ad essere meno egoisti.