Calorosa l’accoglienza degli studenti che hanno avuto il piacere di porgergli alcune domande sulla sua vita e sulla sua carriera. Tra un’intervento e l’altro il maestro ha eseguito alcuni dei suoi brani più celebri tra cui “Back to life”, “Come sei veramente”, “Prendimi” e “Abbracciami”.
Per te cosa vuol dire essere un artista?
«Ognuno di noi ha un’immagine originaria dentro, la parte più pura e autentica di sé che corrisponde al bambino che siamo stati, nascosto in fondo alla nostra anima. Questa immagine, pian piano viene compressa e offuscata dalle pressione delle omologazioni delle preoccupazioni dei pensieri sul futuro. Credo che essere artisti significhi, attraverso la creazione di un’opera d’arte, cercare di far riemergere questa nostra immagine originaria. Spesso alcuni critici del mondo accademico (a cui però voglio molto bene) dicono che scrivo dei brani molto simili uno con l’altro. Non è stata mai mia intenzione omologare i pezzi, però c’è un fondo di verità in quello che dicono. Il punto in comune che hanno i miei pezzi è la volontà di dare un volto a quell’immagine che è dentro di me. E questo sarà un moto che non avrà mai fine».
Quando hai cominciato a suonare?
«In genere i genitori cercano di spingere i figli a studiare musica. Invece a casa mia, mamma e papà mi hanno sempre vietato di toccare il pianoforte. I miei genitori sono dei musicisti: mia madre è una cantante lirica, mentre papà è professore di clarinetto; a casa mia c’era musica classica in continuazione. Ma soprattutto c’era un pianoforte fiammante, chiuso in una stanza dove aveva accesso solo mia sorella più grande (una pianista bravissima!). Questo divieto a suonarlo aveva acceso in me un forte desiderio e, alla prima occasione in cui mi trovavo da solo in casa, aprivo la stanza ed ammiravo stupito quello strumento. Ricordo ancora la volta in cui suonai una nota: dissi tra me e me “se una nota è così bella, a che serve una sinfonia?”. Ancora oggi quando mi siedo davanti al pianoforte sento in me quel bambino che infrange il divieto».
Sappiamo che il tuo luogo di massima ispirazione è la piscina, è così?
«Quando mi trovo ad Ascoli Piceno (la mia città), nei momenti di isolamento totale amo andare in piscina. Nel silenzio dell’immersione spesso penso alla note. L’ispirazione è il momento in cui le note entrano nella mia testa ed io non posso più fare a meno di farle girare: sono loro ad indicarmi la direzione del brano. Questa è anche una lotta con i critici musicali e con i meccanismi mediatici, che richiedono sempre più formati standardizzati. Se componi un pezzo di mezz’ora in radio non può passare, in tv bisogna tagliarlo ecc. Io non voglio piegarmi quindi rimango orgogliosamente fuori dalla porta. Internet in questo senso ha inaugurato una fase di libertà condivisa dove i giovani creativi possono esprimersi in totale libertà senza tener conto di nessuno».
Qual è il tuo rapporto con i giovani?
«Con loro ho certamente un rapporto stretto. Alla fine del concerto, nei foyer dei teatri incontro tante persone e tra loro ci sono sempre tantissimi giovani che mi raccontano le loro emozioni. È bellissimo stare a contatto con le nuove generazioni, perché siete voi giovani ad educare me, con i vostri occhi che brillano, a stretto contatto con dei sognatori non ancora contaminati dalla vita adulta. Questa è la mia gran fortuna, di aver trovato un filo diretto con le nuove generazioni».
Oggi, che consiglio ti senti di dare a loro?
«Conosco la precarietà e l’insicurezza perché le ho vissute sulla mia pelle quando a 28 anni, nella mia città d’origine, ho perso il lavoro. Comprai un biglietto per Milano sola andata. Quando arrivai lì, andai a vivere in un monolocale. Trovai subito un lavoro da cameriere, che mi permetteva di dedicarmi alla mia passione bruciante: la composizione musicale. Fu in quella dimensione che cominciai a sentirmi un grande artista, lì ho avuto la possibilità di ritornare in contatto con il sognatore che era dentro di me. Il consiglio che sento di darvi è di mettere in ciò che fate tutta la passione bruciante che possedete. Dovete crederci, non perdere il contatto con il sognatore, perché vince chi che ci crede».