Roma. Un sabato sera d fine marzo. Alza
in alto il suo I-phone nero, ci invita tutti a dire a gran voce: “Pace, per i
bambini in Siria”. E ancora: “Pace, per i bambini in Siria”. Ci ringrazia e, con
delle immagini di bambini che gli scorrono dietro, sorride.
Ancora
un istante. Spiega che Dario è il loro testimonial della regione Calabria.
Ancora
un ringraziamento e se ne va. È stato un piccolo ma significativo intervento di
un volontario dell’Unicef, del tutto inaspettato per molti di noi. È riuscito
a coinvolgere tutti, rendendoci un po’ più consapevoli di tutte quelle
situazioni che, solo per il fatto di essere lontane fisicamente, sembrano non
riguardarci. E invece ci riguardano, anche se lontane. Eccome se ci riguardano.
E poi
ancora attesa. Per noi che attendevamo già da più di un’ora, dici minuti in più
non importavano. Il clima è buono, divisi tutti in gruppetti e nessuno si
ritrova solo.
Anche se l’attesa è lunga non si creano mai momenti di silenzio e si impara che
la socializzazione non nasce solo nel fare qualcosa insieme, ma anche
nell’attendere insieme.
Le
luci si abbassano, siamo tutti in piedi, siamo pronti ad una serata diversa.
Mani che battono e sorrisi. “No tranquilli, sono Nicolò non Dario”. Scoppia una
risata. Nicolò Carnesi apre il concerto, suona cinque o sei pezzi. In realtà
nessuno sa con precisione quanti brani ha suonato, quasi nessuno gli ha
prestato molta attenzione.
E
finalmente è il momento, le luci cambiano e sullo sfondo compare la scritta
‘Brunori SAS – Il cammino di Santiago in taxi’. Un entusiasmo generale
caratterizza l’entrata sul palco di Dario Brunori. Semplice ma coinvolgente,
come la sua musica, è la silhouette di Dario al pianoforte, avvolto dalle luci
che racchiudono tutte le sfumature dal giallo al verde. Un attimo di silenzio,
qualche secondo di pianoforte e poi la voce, “mi spiace mio caro intelletto
vattene a letto e dormici su, forse il tuo mondo perfetto non è perfetto come
dici tu”.
E con quest’immagine ha inizio il concerto di questo sabato sera all’Atlantico
Live a Roma, iniziato con “Arrivederci tristezza”, tratto dall’ultimo album.
Per
le prime due canzoni non riesco, come sicuramente molti altri, a staccare gli
occhi dal palco. La magia del concerto avvolge tutti, è uno spazio in cui ci si
sente almeno un po’ più liberi. È la musica che ci fa provare le emozioni
più diverse e noi, per ogni momento, abbiamo una canzone che ci ricorda un sentimento,
una persona o che sembri parlare proprio di noi.
Ci accorgiamo subito che, oltre ad essere un buon cantante e musicista, è anche
una persona molto simpatica, alla mano. Su quel palco Dario Brunori non segue
rigidamente la scaletta, ma interagisce, risponde a ciò che le persone gli
urlano. È capace di mettere ironia ovunque, riesce a farci fare delle sane
risate.
“Non
possiamo fare così? Basta canzoni, e andiamo avanti di chiacchiere” dice lui,
un po’ con il fiatone, scherzando sul fatto che è un “urlatore” e che forse non
ha più l’età.
Mi guardo intorno e mi esce una risata. Ci sono tutti. Davanti c’è un gruppo di
ragazzi, di amici che non fanno altro che abbracciarsi e ri-abbracciarsi.
Intuisco che per loro, per la loro amicizia quelle canzoni vogliono dire molto.
A destra c’è una coppia sui quaranta: lui altissimo abbraccia per tutta la
durata del concerto una donna vestita molto elegante, con gli occhi che
brillavano, ma che faceva fatica ad esternarne quella sua gioia di esser li. Ci
provava ogni tanto ad alzare una mano, ad accennare un applauso, a cantare con
voce un po’ più presente una canzone che le stava a cuore. Ci provava, ma
rimaneva tutto un accenno. Non ho ancora capito se la sua fosse vergogna o
timidezza.
Un po’ più in là una coppietta giovane, mano nella mano. Lui, alternando un
bacio ad una parola, spiega ogni canzone alla propria ragazza che annuisce e
alla fine, apprezza quella musica tanto cara all’amato.
Ma se ne vedono proprio di tutti i colori. Chi con la camicia e chi in tuta,
chi con le scarpe da ginnastica chi con i tacchi. È un evento che ha lasciato
spazio a tutti, di tutte le età, di tutti in gusti rendendo possibile l’unione
dei stili più diversi. In comune c’è la voglia di stare lì, a condividere un
pezzettino di noi racchiuso in qualche canzone che quell’uomo, caratterizzato
fin dagli esordi da quella barbetta incolta e dagli occhiali neri, ci regala
dal palco.
Sono
brani che, come fotografie, ritraggono il presente di ognuno di noi attraverso
una poetica semplice, romantica ed anche ironica. Sono testi semplici e
diretti, che colpiscono al cuore ognuno di noi per diversi aspetti. È quasi
finito questo momento di spensieratezza, ci accorgiamo che sono le ultime due
canzoni della serata. Sono le due canzoni più famose, e lui non è da solo a
cantarle perché ci siamo anche tutti noi, che sappiamo le parole a memoria e ci
viene anche da chiudere gli occhi perché, a cantarla insieme a lui, un brivido
ci ha attraversato.
“Vi
ringrazio di cuore”, un inchino, un sorriso e se ne va.
Tutti
si dirigono verso l’uscita, a terra sono rimaste alcune bottiglie di birra e
qualche fazzoletto.
Gli occhi sono soddisfatti. Un lunga fila verso l’uscita. Il freddo di una sera
di marzo che ti colpisce appena sei fuori dal locale che ti fa ricordare di
esser tornato alla quotidianità.
Un bel sabato sera tra amici e musica. Grazie Dario, è stata una girandola di
emozioni.
Qualcuno che corre a comprare l’ultima birra. Si vedono abbracci ovunque. Le
coppiette che si stringono le mani. Due amiche che salgono in macchina e
pensano a quali possano essere le parole più giuste per descrivere quelle due
ore di spensieratezza e sorrisi.