Le cose più belle arrivano come le api: ti pungono, all’improvviso,
e la sensazione di quell’attimo dura per molto tempo.
Cronache da una spettatrice scettica redenta.
Ho cominciato a capire che alla mia università c’era
qualcosa di speciale nell’aria due settimane fa, quando in un solo giorno
Facebook mi mostra il gruppo “che sapore ha la solidarietà”, mentre vedo quasi
tutti i miei colleghi taggati in diverse foto, in quello stesso gruppo, con uno
strano gioiello.
E’ stato un attimo: in un nanosecondo tutte le aule erano
piene di gente con addosso un misterioso braccialetto verde speranza, con su
scritto Afron, 22 maggio 2014.
Sarà una nuova moda, ho pensato. Mancavo solo io.
Il giorno dopo, due mie colleghe hanno cominciato a
saltellare tra i corridoi con un cerchietto a forma di farfalline volanti. Ai
loro polsi ho riconosciuto una sfilza di quei braccialetti verdi: che fossero
il “talco” di Pollon combinaguai? Non riuscivo a spiegarmi in altro modo tutto
questo entusiasmo. Mi sono decisa: dovevo chiedere, e saperne di più. Ho
approfittato della pausa caffè per cercare le mie colleghe, e le ho trovate ad
un tavolino, a distribuire volantini e braccialetti: era la mia occasione per
averne uno.
«Bello
vero? Questo braccialetto serve per partecipare all’evento che si terrà il 22
maggio in Aula Don Bosco, a favore della lotta contro i tumori in Africa che fa
appunto Afron, un’associazione onlus: tu te lo compri con 5 euro e puoi venire.
Ok?» Ok.
Durante la settimana ho
perso qualsiasi contatto con alcuni dei miei colleghi.
Avevano sempre quella faccia misteriosa, interrogativa, e
quando cercavi di parlare con loro la risposta era sempre “scusanonpossostopensandoall’eventoAfroncivediamodopociao”.
Ho cominciato a pensare che il mio braccialetto fosse contraffatto: io tutta
quella gioia, quell’attesa per giovedì non ce l’avevo.
La curiosità, si. Tanta. Una curiosità che si è alimentata
nel vedere striscioni, poster dell’evento, ragazzi impegnati nelle pause a
tagliuzzare sagome dell’Africa o a spuntare liste di cibi, tutti con lo stesso
sorriso. Mah.
Poi, finalmente, è arrivato questo benedetto giovedì.
La mattinata è iniziata con 42 notifiche via Facebook sull’evento,
continuata con un ritornello nella testa continuo di “vienidainonpuoimancare”
fino alle 15.30. Volevo proprio scoprire se il mio braccialetto fosse quel fake
che credevo.
Aula Don Bosco. Irriconoscibile. Ovunque, profumo di Africa.
Dai coloratissimi tendaggi alle pareti, alla tavola buffet
piena di pizza bianca, biscottini, patatine e taralli, agli oggetti artigianali
sparsi ovunque, tutto diceva una cosa sola: L’Afrique c’est chic, e pure
solidal, se partecipi lo vedi.
Potrei farvi una predica lunghissima di quanto sia bello
partecipare ad un evento creato appositamente per sostenere un’associazione che
si occupa di tumori femminili in Africa: partirebbe il polpettone su quanto sia
importante condividere problematiche sociali di questo tipo, su quanto possiamo
sentire vicine le vite di persone lontane chilometri da noi, sulla fatica di
aiutare gli altri più bisognosi e la gioia che se ne ricava, ma non lo farò,
non servirebbe a nessuno.
Sono gli abiti africani di alcuni miei colleghi ciò che vi
racconto.
Le maglie bianche con il logo Afron che i ragazzi hanno
creato da soli. Le danze tipiche che hanno fatto tremare il pavimento e i cuori
dei presenti. I canti africani all’unisono. I colori delle collane di carta realizzate
dalle ragazze africane guarite. Lo stand per farsi fare le treccine africane
multicolori. Lo zainetto di un sacerdote, mago per l’occasione, pieno di carte
magiche, corde impazzite, scatoline preziose in grado di riaccendere la
meraviglia bambina in noi.
Ho visto ragazze che non avevano il braccialetto dirigersi lo
stesso verso un tavolino di informazioni, chiedendo se era possibile diventare
volontarie in questo progetto. Ho visto professori passati per un saluto che
non volevano andarsene quando qualcuno ha detto che l’evento si stava
concludendo. Ho visto una gioia che non è passata il giorno dopo, quando le treccine erano ancora sulla testa di quasi tutte le ragazze dell’università, piccolo testimonial di che cosa rende felici davvero.
Tutto ha preso vita, come una puntura di ape, e sui visi di
chi arrivava per l’evento riconoscevo il mio stesso sorriso, e non era per il
braccialetto che tutti avevamo.
La solidarietà ha il sapore delle cose vissute insieme,
delle novità che non invecchiano. Non importa a quale evento simile deciderai
di partecipare: quel gusto di vita piena è contagioso.