Arriviamo al
numero 15 di Viale Manzoni alle 10:00 in punto. Il grigiore del cielo si
confonde con quello dell’edificio. Notiamo subito accanto alle scale lo scivolo
per le carrozzine: è un buon inizio, pensiamo.
La presidente della Commissione Politiche Sociali e della Salute del Comune di Roma, Erica Battaglia, ci
attende nel suo ufficio. Un’ampia stanza, con una grande scrivania ricoperta di
fogli e cartelline, il computer è un piccolo portatile poggiato su un lato. Sul
muro dietro la sedia c’è una bacheca piena di appunti, tra questi qualche
foglio con scritto “grazie”.
Erica Battaglia,
esponente del Partito Democratico è, ormai da qualche anno, impegnata per lo
sviluppo di una moderna rete di servizi e per i diritti delle fasce più deboli
della popolazione.
Da quando vi
siete insediati di cosa vi siete occupati prevalentemente?
Ci siamo
soffermati sostanzialmente su tre grandi ambiti: una revisione generale del
regolamento dei centri anziani, il potenziamento delle consulte municipali
sulla disabilità e l’assistenza domiciliare.
Per quest’ultimo
ambito abbiamo messo in campo un’idea nuova: c’è stato un incontro presso
l’assessorato nel quale sono state esposte le prime linee guida che dovranno
essere offerte alla città. Soprattutto attraverso tavoli di partecipazione dove
gli utenti: le famiglie, gli operatori, le cooperative, i municipi, gli
assistenti sociali, le Asl e tutti coloro che hanno anche una singola
competenza sul domiciliare, intervengano per dare un contributo che possa essere
di arricchimento per il beneficiario finale dell’intervento; perché la politica
non può esaurire da sé la capacità di progettare la città, o almeno questo è il
metodo che quest’amministrazione si è data.
Un anno fa lei aveva lanciato l’allarme perché i servizi
essenziali romani erano a rischio a
causa della mancanza di fondi, la situazione è migliorata?
La ringrazio di aver detto «lei ha lanciato l’allarme», in realtà
a Roma nel corso dell’ultima consigliatura è nato un network di associazioni,
cooperazioni, municipi, servizi che lamentava sostanzialmente un abbandono
delle politiche sociali. I tagli noi li abbiamo subiti. Io prima di essere Presidente della Commissione per le Politiche
Sociali ho avuto un’esperienza municipale nel territorio di Cinecittà,
negli ultimi due anni del sindaco Veltroni e poi nei cinque anni della gestione
Alemanno. Quello che rimproveriamo all’amministrazione Alemanno, oltre ai
tagli, è una mancanza di partecipazione e di senso pratico che hanno alimentato
una sofferenza che la città già viveva. La crisi si è presentata ovviamente
anche nelle famiglie con disabilità, creando un appesantimento delle
situazioni. È venuto a mancare l’insieme di sicurezze economiche e sociali che
hanno fatto sprofondare, a volte nella difficoltà vera, molte famiglie romane.
Noi ci siamo trovati a dover rispondere di tutto questo. Io
continuo la battaglia, anche per il cognome che porto, perché la proposta che è
arrivata dalla giunta comunale non mi soddisfa e noi consiglieri comunali siamo
consapevoli che in molti settori vadano rimodulate alcune scelte che sono state
fatte.
Le barriere architettoniche fortemente presenti a Roma, anche per
motivi storici e culturali, rendono difficile la vita alle persone diversamente
abili. Che soluzioni ci sono per loro?
Volontà e sensibilità. Noi oggi siamo in una situazione di
difficoltà, anche come amministrazione Marino, i soldi sono quelli che sono,
c’è il patto di stabilità…
Tuttavia ad una situazioni critica si può rispondere mettendo in
campo altri strumenti, per esempio l’amministrazione Marino, anche a fronte di
una difficoltà del settore sociale, ha scelto di utilizzare strumenti come il
rispetto della legge 68 sul collocamento obbligatorio delle persone disabili,
perché una persona che va a lavorare ha meno bisogno del servizio sociale; il
tema degli appalti riservati, quindi riservare alle cooperative di tipo b, che
hanno come mission l’inserimento lavorativo di soggetti svantaggiati quote di
appalti comunali, così da sostenere un mercato che permetta l’assunzione di
persone svantaggiate; e poi l’attivazione dei tavoli, dove a fronte di una
difficoltà si recupera nella partecipazione, nell’idea che la città è un
collettivo.
Questo vale anche per le barriere architettoniche: se si ragiona
in termini di collettivo, anche chi non è portatore di disabilità aiuta e
facilita la vita di chi invece è disabile. In tema di barriere architettoniche
su Roma è stato fatto tanto, al di là del fatto che Roma è una città complessa
perché porta in sé una storia di duemila anni, quindi obiettivamente, appena
levi un sampietrino esce sempre fuori la testa di Mario Silla, come dissero una
volta nella trasmissione Avanzi, perché dovunque scavi a Roma c’è un
problema di valorizzazione dei beni culturali. Questo naturalmente è un
problema, ma anche un dono che questa città ha ricevuto.
Quindi non ci sono soluzioni?
A Roma è stato fatto tanto, però c’è tanto ancora da fare, questo
vale per l’accesso alle cure, ci sono strutture ospedaliere che rendono
complicato l’utilizzo per i disabili; abbiamo un problema di accesso al tempo
libero e in questo caso non esclusivamente ai musei, ai beni culturali, ma
anche agli impianti sportivi, al cinema, al teatro a tutto quello che potrebbe
essere qualità della vita e che invece molte volte diventa scoramento. Nel
senso che è anche offensivo per una persona con disabilità dover chiedere la
cortesia di essere alzato da una carrozzina o aiutato ad entrare in una sala
per vedere un film, mentre ne avrebbe diritto con la serenità di cui godono tutti.
Quindi, su questo tema, va chiesto lo sforzo della pubblica amministrazione, perché
quando progetta degli interventi di lavoro deve osservare in maniera quasi
ossessiva le norme sull’accessibilità che ormai sono obbligatorie, e anche da
parte del privato una sensibilità più generale sul tema.
Quindi un po’ la sensibilità, un po’ la volontà ed un po’ il
dovere dell’istituzione di fare la propria parte.
Abbiamo sentito varie testimonianze: uno dei problemi più citati è l’impossibilità di
passeggiare sui marciapiedi con le sedie a rotelle, sia per la conformazione del
marciapiede stesso, sia a causa delle macchine parcheggiate male o sulle
strisce pedonali, davanti alle rampe e agli scivoli per scendere, e questo
oltre ad essere un problema è anche pericoloso, perché finiscono a camminare in
mezzo alla strada.
Roma è una città caotica. Io
capisco anche l’esasperazione di alcuni automobilisti, ma Roma è una città dove
vivono tutti e quindi se ci sono delle regole vanno rispettate. Le regole
permettono a tutti di vivere meglio. Io mi ricordo anni addietro delle campagne
di sensibilizzazione sul tema, sensibilizzazioni fatte anche con l’ausilio
delle scuole elementari di Roma, dove erano i bambini a multare i comportamenti
stradali sbagliati con finte contravvenzioni stampate. Chi trovava una multa
del genere, non dovendo pagare non si arrabbiava, ma magari si interrogava
meglio su quello che aveva fatto, visto che l’ammonimento veniva da un bambino
di dieci anni. Naturalmente questi contenuti i bambini li portano anche dentro
casa. Quindi sono strumenti utili: l’educazione, il coinvolgimento dei ragazzi
e anche le campagne di sensibilizzazione di carattere istituzionale, utili per
avere un pensiero collettivo e di comunità sul senso dello stare insieme.
Il problema non è soltanto
politico ma anche sociale. Secondo lei è appunto la poca sensibilità dei romani
che rende la città ancora più limitante?
Io non credo che i romani
siano poco sensibili, nel senso che la nostra città ha sempre dimostrato
d’avere un grande cuore e una grande capacità di accoglienza e di cura del
disagio degli altri. La maggior parte dei romani sono persone che hanno a cuore
il problema, ma più in generale hanno a cuore le difficoltà degli altri. Roma è una città molto generosa.
Le campagne di sensibilizzazione sono molto utili: ad esempio, ieri abbiamo
lanciato con la presidente Valeria Baglio, della Commissione delle Politiche
Educative Scolastiche di Roma, il premio per il buon esempio nelle scuole
sull’integrazione scolastica degli alunni con disabilità, questo è una buona
iniziativa per il coinvolgimento di altre istituzioni. Se magari si riuscisse,
in collaborazione anche con altri enti, a far diventare la disabilità un
problema di tutti, sarebbe un passo avanti. Perché così come recitano e dicono
le ultime direttive europee, quando si parla di Universal Design, il tema non
riguarda solo gli architetti; ma si deve capire che una città dove aumentano il
numero degli anziani e quindi aumenta il problema di deambulazione, una città
in cui vivono anche le famiglie e quindi abbiamo le mamme con i passeggini in
giro, una città che accoglie ed ha tra i suoi cittadini anche persone con
disabilità deve essere una città morbida, una città fatta di piani, di scivoli,
di luoghi rotondi e non spigolosi.
Per concludere vuole dare
qualche consiglio ai singoli cittadini per sensibilizzare riguardo a questo
problema?
Io in generale sto lavorando sul recupero del senso di comunità
nella nostra città. Recuperando un senso di comunità e anche di appartenenza ad
un territorio si ritrova in qualche modo la speranza, si vede quell’orizzonte
che in alcuni momenti ci è sembrato in qualche modo negato. È giusto prendere
l’abitudine di donare qualcosa di sé quotidianamente al benessere della vita di
tutti.