15 Giu 2014

Diventare giornalisti? Ripartiamo dalla scrittura

Giornalisti non ci si improvvisa nè lo si diventa solo grazie alle nuove tecnologie. Occorre riscoprire l’arte di saper raccontare i fatti. Un dibattito tra docenti di giornalismo, in occasione della presentazione del manuale “Corso base di giornalismo”

Lo scorso 10 Giugno, presso la sede della Federazione Nazionale della Stampa Italiana a Roma, si è tenuto l’incontro “Giornalisti si nasce o si diventa? (Ancora?)” organizzato in collaborazione con la Facoltà di Scienze della Comunicazione sociale dell’Università Salesiana e con l’Ucsi (Unione Cattolica della Stampa Italiana). Un dibattito aperto tra docenti di giornalismo delle diverse università romane in occasione della presentazione del testo “Corso base di giornalismo” (LAS 2014) curato da Paola Springhetti e Pietro Saccò entrambi docenti della salesiana. La prefazione è stata curata da don Giuseppe Costa, direttore della LEV (Libreria Editrice Vaticana).

Il manuale, nato dall’esperienza pluriennale del corso di “Teoria e tecnica del linguaggio giornalistico I” tenuto dagli stessi autori, vuole essere una prima guida pratica per confrontarsi direttamente con il mestiere del giornalista, oggi. «Chi è nato col computer – sottolinea Paola Springhetti – pensa di saper fare tutto, anche il giornalista, ma non è così! Soprattutto nelle facoltà di scienze della comunicazione è necessario de-strutturare le menti degli studenti che approfondiscono eccessivamente l’uso dei nuovi media e non sanno nulla di ciò che accade fuori, nel mondo».

Il giornalismo ha bisogno di ritornare alla sue origini, ovvero alla scrittura, all’arte di saper raccontare i fatti. «Oggi più che mai – afferma Andrea Melodia (presidente UCSI) – si avverte il bisogno di tornare a parlare del testo. Nel mondo giornalistico odierno c’è mancanza di conoscenze, di come trattare la lingua. La gestione della lingua non è più al centro di questo mestiere, basti pensare ai correttori di bozze definitivamente scomparsi dalle redazioni. Questo non vuol dire condannare gli altri tipi di linguaggi ma è urgente ripartire dalla solida base del giornalismo scritto».

Il manuale ha la caratteristica di presentarsi come corso pratico, arricchito da diverse esercitazioni che mettono lo studente in grado di misurarsi da subito con la scrittura. A questo proposito Roberto Baldassari (Roma Tre) suggerisce: «formare gli studenti con un metodo pratico restituisce loro la dimensione del “che fare” in questa professione. Se i futuri giornalisti vogliono avere un marcia in più, devono sperimentarsi, essere curiosi e provarci. Andare alla stazione anche con il rischio di perdere il treno, piuttosto che restarsene a casa».
Il giornalismo non è un mestiere che si può improvvisare, ma ha bisogno di costanza e fatica intellettuale e fisica. «Perché fare i giornalisti?» – si chiede Giovanni Miele (Tor Vergata). E aggiunge: «bisogna far capire che fare i giornalisti vuol dire fare l’operaio, ma anche l’artista. Togliamo un po’ di polverina luccicante da questa professione: non è come fare la velina o il calciatore! Più che chiedere ai ragazzi se giornalisti si nasce o si diventa, dovremmo chiedere: per fare che cosa?».

L’Ordine dei Giornalisti è un altro nodo cruciale del mestiere, visti i dati sconfortanti degli ultimi anni, che contano il 50% dei bocciati all’esame di accesso alla professione. Questa carenza di preparazione, secondo Cesare Protettì (docente della LUMSA) «deriva da una non perfetta simbiosi tra i requisiti richiesti dall’Ordine e i contenuti insegnati nelle scuole di giornalismo italiane. È necessario mettersi d’accordo su alcuni punti». Risponde Chiara Longo Bifano (Ordine Nazionale dei Giornalisti): «vigiliamo costantemente sulle scuole di giornalismo. Oggi la grande carenza è la mancanza di specializzazione in alcuni settori, come il giornalismo religoso, scientifico, politico, europeo ecc. Abbiamo undici scuole di giornalismo (troppe!) che non specializzano i futuri giornalisti».

E sul cambio di linguaggi aggiunge: «le tecnologie fanno parte del nostro mestiere. È giusto ritornare a saper scrivere bene, ma dobbiamo anche aggiornarci e tenere il passo alla velocità dei nostri tempi. Pensiamo al MoJo (Mobile Journalisme), con servizi girati interamente con uno smartphone, che già in molti paesi si sta affermando. All’esame di ammissione dovremmo chiedere di saper montare un video, un web-doc o uno slide-show perchè è questo il futuro della nostra professione».

condividi su