Fiumicino è un labirinto di aria condizionata e luci accese. Ci troviamo tutti davanti al check-in, destinazione Addis-Abeba, prima tappa verso Maputo. Tra 13 ore saremo in Mozambico. Ognuno di noi ha con sé due valigie, come richiesto da Don Giampier una personale, l’altra, in aggiunta, per trasportare in caso di necessità abiti e medicine per gli abitanti di Mafuiane. Vestiti comodi e antizanzare accatastati in una stoffa di avventura.
Alcuni volontari della missione già partiti in altre occasioni ci vengono a salutare al volo, in fila per i controlli: hanno nel viso l’espressione di chi vorrebbe essere al tuo posto, con la nostalgia buona di chi non riesce a dimenticare dove ha viaggiato. Ci siamo. Il volo è tranquillo, siamo cullati dalla leggerezza delle nuvole che si stagliano ampie sotto i nostri occhi. Il paesaggio diventa sempre più lontano, fino a quando alle case e ai boschi intravisti dall’alto a Roma si sostituiscono immensi spazi di terra, con fiumi lunghissimi, poche case, zone quasi desertiche.
Atterriam in sei ore e quarantacinque minuti l’Etiopia ci accoglie.
Non è il primo viaggio che mi trovo ad affrontare all’estero in aereo, ma rimango colpita da parecchie cose: in primis, l’estrema sicurezza che dimostra di voler ottenere la dogana. Rimango bloccata ad Addis Abeba per circa mezz’ora: dovevano a tutti i costi prendermi le impronte digitali, senza tuttavia riuscirci a causa di un macchinario non molto funzionante. L’aeroporto in compenso non ha nulla da invidiare agli aeroporti europei; ci sono dutyfree, strutture moderne ma un’impostazione araba, con negozi ad archi colorati e cibi africani, e nessun rivenditore in franchising o catene come Autogrill, o McDonald, fattore che permette al visitatore di provare gusti nuovi. A questo si unisce però un controllo quasi maniacale sia delle persone che delle valigie: ogni minima cosa è analizzata. Non ricordo una procedura così fiscale dal periodo immediatamente successivo alla caduta delle Torri Gemelle, con una fila immensa di persone che si tolgono le scarpe per passare sotto il metal detector. Finalmente arriva il momento di salire sul volo dell’Etiopian Airlines: hostess vestite all’africana, con una specie di sari giallo verde ci accompagnano nel secondo volo di sei ore, servendoci per pasto pesce o pollo con un tortino al limone e chedendoci se abbiamo bisogno di coperte per il viaggio.Un volo tranquillo, con qualche sbalzo d’aria non troppo importante.
Riusciamo a socializzare tra di noi: siamo una decina di persone volontarie per questa missione. Io sono la più giovane. In questo periodo infatti sono presenti persone più adulte, uomini in maggioranza, tutti spinti da uno stesso desiderio, rendersi utili al prossimo, mentre i ragazzi di solito visitano la missione nel mese di agosto. Arrivati all’aeroporto di Maputo mi colpisce un particolare: siamo praticamente circondati da cinesi. Cosa ci fanno così tanti cinesi in Africa? E’ don Giampiero a rispondermi: i cinesi si stanno espandendo sul mercato africano, creando prima di tutto pozzi e collegamenti stradali. La maggior parte delle opere pubbliche, come strade e pozzi, è opera loro, mentre gli europei sono più propensi a dare i soldi ai governi per aiutare il popolo piuttosto che costruire direttamente infrastrutture. Aeroport un crocevia di culture, visi, lingue ed emozioni diversissime tra loro. Sono proprio curiosa di sapere cosa troverò una volta messo piede fuori da qui…