L’incontro “Ritratto allo specchio” con la scrittrice Margaret Atwood, nata ad
Ottawa, è stato ideato dalla Casa delle Letterature di Roma per l’evento di
chiusura di “Letterature, Festival internazionale di Roma”, promosso
dall’Assessorato alla Cultura di Roma, in collaborazione con il Teatro di Roma
e in concomitanza con la pubblicazione da parte dell’editore Ponte alla Grazie
del terzo volume della Trilogia dell’ Adamo Pazzo e della ripubblicazione di un
libro dell’autrice di grande successo, “L’assassino cieco”.
Durante
l’incontro l’autrice ha letto brani dell’ultimo libro, “L’altro inizio”, alternandosi con
l’attrice Lucia Mascino e ha risposto alle domande delle sue interlocutrici:
Maria Rosa Cutrufelli, Lia Migale, Bia Sarasini, Giorgia Serughetti, moderate
da Maria Ida Gaeta.
La riflessione sulle tematiche si è in seguito concentrata
sull’analisi della scrittura e delle scelte di stile dell’autrice. Molto brava nella narrazione, si è
rivolta alla platea come se leggesse una fiaba, riuscendo a creare suspence
nell’auditorio. La scrittrice alla fine della presentazione ha autografato le
copie dei libri interagendo con il pubblico con simpatia e disponibilità.
Poetessa, narratrice e critica letteraria, Margaret Atwood si è
affermata pubblicando poesie basate su elementi autobiografici e mitologici. Ha
vinto il premio Arthur C. Clarke e il Premio Principe delle Asturie per la
Letteratura, il Booker Prize con “L’assassino cieco” nel 2000, vincendo
per due volte il Governor General’s Award.
Da sempre attiva nelle tematiche
femministe ed ambientaliste, è riuscita ad incanalarle in uno stile sobrio ed
efficace grazie all’ironia e alla capacità di critica, analizzando lucidamente
la decadenza del sistema socio-politico occidentale e il lato oscuro della
ricchezza.
La Trilogia dell’Adamo Pazzo si compone del primo volume, “L’ultimo degli uomini” (2003),
ambientato in un pianeta post apocalisse
abitato un solo uomo, e del secondo volume, “L’anno del diluvio” (2010),
una riflessione sul futuro della Terra. Il terzo ed ultimo volume, “L’altro
inizio”, si basa sulla possibiltià di anticipare un sistema sociale
possibile.
L’ultimo uomo del pianeta Terra, scampato ad una epidemia chiamata
Diluvio Senz’Acqua scatenata dall’uso sconsiderato della scienza da parte
dell’uomo, convive, in apparenza pacificamente, con una società composta dai
Craker, una specie transgenica, e da animali geneticamente modificati come i
proporci e i calupi in un villaggio-rifugio. Una donna, parte di una religione
verde, i Giardinieri di Dio, esperti di rimedi naturali, cerca la mediazione
tra le parti alla ricerca di una rinascita, di un “Altro inizio”.
Il panorama che l’autrice ci propone è
quello di una società decadente e che persegue l’idea della sperimentazione a
tutti i costi.
Nell’ultimo libro
di Margaret Atwood è chiara l’intenzione di voler andare oltre il concetto di
governo n“buono” o “cattivo, in quanto i sistemi consumistici o improntati ad uno
stile di vita “green” sono già stati sperimentati e sono risultati entrambi
fallimentari.
La fantasia diventa l’elemento intorno al quale si può pensare di
ripartire, unico approccio possibile per governare la società. La non
valorizzazione dell’altro, il rifiuto arbitrario alla
colonizzazione da parte di “diversi”, portano ad una società totalitaria e senza
futuro. L’insistenza nell’osservare mondi chiusi in sé stessi (“In
principio, vivevate dentro l’Uovo…”) e il caos esterno esprimono
bene la paura del cambiamento, come anche il passare del tempo (l’età) e le
relazioni di potere tra uomini e donne, inclusa la violenza che ne deriva.
La società diventa un esperimento per eliminare la
violenza celata nei rapporti tra specie al fine di detenere il controllo. Il
nodo della storia ruota attorno alla volontà di sconfiggere gli aspetti di una
società che sta degenerando senza comunque darne un giudizio morale, a
differenza di tentativi letterari simili, seppur di successo, che si incanalano
nel genere distopico, come la trilogia più commerciale composta dai tre volumi
Divergent, Insurgent e Allegiant di Veronica Roth.
Privi della complessità
riflessiva Atwood, si ispirano comunque al principio del rifiuto di una
classificazione che implica la valorizzazione del “diverso”, del “divergente”.
Le parole del “Publishers
Weekly”: «Quel che resta alla fine della sua Trilogia non è la disperazione per
il fallimento dell’umanità ma il timore reverenziale per il suo potenziale
evolutivo, ancora poco esplorato”, sintetizzano bene lo spirito delle sue
opere.
Guardare con ottimismo il ridursi degli aspetti negativi della società e
del suo allontanarsi dalla distopia vuol dire attuare cambiamenti strutturali al modo in cui si guarda il luogo
in cui viviamo. Margaret Atwood ha tentato di farlocercando di spiegare l’arte di governare con
un’altra arte, la scrittura.