20 Ott 2014

La tecnologia aiuta a immaginare Dio

John Forrest, produtttore creativo della BBC e fondatore dell'Insight Film Festival, parla di fede e tecnologia al Religion Today Film Festival 2014

Roma, 20 ottobre 2014, Facoltà di Scienze della Comunicazione Sociale dell’Università Pontificia Salesiana.

Quanto può influire la tecnologia sul nostro modo di percepire la fede? E’ quello che si è chiesto John Forrest durante la XVII edizione del Religion Today Film Festival, produttore con una brillante carriera alla BBC e fondatore dell’Insight Film Festival, un progetto globale che si occupa di incoraggiare i giovani film makers ad esplorare il genere della “fede” nella produzione dei loro film. 
«Il cambiamento della tecnologia può aiutare a capire come percepiamo la fede. Per avere fede e credere in Dio dobbiamo avere una forma di immaginazione spirituale: molti studiosi hanno fatto lavori egregi su questo tema, e intendo riferirmi alla teoria dell’immaginazione di Steven Mithen, che in un articolo del 2007 parla di 7 aspetti dell’immaginazione. Secondo l’autore, la mente umana è capace di fare esperimenti, e ha una storia, perché parte in qualche modo vuota e poi si accumula. L’uomo ha una mente sviluppata grazie al linguaggio. Il linguaggio è quindi una rete di connessioni tra cose, e ora la tecnologia ci consente di espandere la nostra mente, di immaginare ancora di più».

La tecnologia dunque espande sia la mente che la nostra immaginazione, secondo Forrest, che afferma: «Il comportamento umano si sviluppa perché è concentrato sulla crescita dell’immaginazione, non dobbiamo più cacciare per sopravvivere! Abbiamo quindi la possibilità di concentrarci su noi stessi, sulla nostra interiorità ed il rapporto con gli altri. La tecnologia ci aiuta ad immaginare Dio».
Come lo immaginiamo? La tecnologia influenza questo tipo di immaginazione?
«Nella storia gli artisti hanno usato enormemente la loro immaginazione con riferimento a Dio, sostenendo questo processo. Consideriamo il cinema: come esso incide sulla nostra immaginazione? L’immaginazione dello spettatore viene messa in moto, siamo in qualche modo implicitamente costretti, su quella poltroncina, a riflettere. Quindi quali sono le conseguenze sulla fede? Spesso la fede si è intrecciata con la storia del cinema, attraverso i colossal biblici. Alcuni vennero censurati proprio per la paura che il cinema influisse sull’immaginazione .Personalmente, un film che mi ha colpito molto quando avevo soltanto quattordici anni, è il film animato Pinocchio, del1940: la canzone “When you wish upon a star” mi ha illuminato, come l’uomo che legge i salmi della Bibbia».

«Un esempio meno datato di questo modo di interpretare la fede, il credere, in un tipo di cinema che non è per forza legato ad aspetti religiosi in senso stretto, è il film d’animazione del 2012 “Rise of the Guardians”. Riguarda comunque il credere anche se è un film di animazione: è un film tutto legato al credere, nell’Uomo della Sabbia, in Babbo Natale, in Jack Frost, usa colore, suono, musica, movimento ed è divertente, e la grafica computerizzata (CGI) per i bambini è come se fosse realtà. Li stiamo quindi avvicinando ad un modo di pensare che è prima di tutto un atteggiamento di mettersi in contatto con il loro lato spirituale, con una riflessione riguardo a che cosa credere o meno, riguardo ai valori da portare avanti nel percorso di crescita».

Questo percorso di crescita non appartiene solo ai bambini, ma anche agli adolescenti, agli adulti, a tutti.
«Siamo spinti a crescere quando rifletttiamo sulla nostra forza interiore, sulle nostre capacità, quando ci affidiamo a qualcosa che è in noi e si manifesta per proiezione dello schermo del cinema, o della televisione, o del computer. Ne è un esempio la storia vera di un ragazzo, storpio dalla nascita, che è rinato quando ha capito che poteva diventare uno scultore bravissimo eseguendo i suoi lavori con i piedi: la sua rivincita su sentimenti di suicidio e disperazione emersi nell’infanzia e nell’adolescenza, quando ancora si affidava a chi gli diceva che lui era soltanto un peso per la società, che non avrebbe combinato mai niente di buono. La sua rinascita è stata credere che avrebbe potuto partecipare alle paraolimpiadi nel tiro con l’arco, e convincere tutti che lo avrebbe fatto, come infatti poi è accaduto: ha fatto sentire la sua voce tramite un videomaker, che ha raccontatro la sua storia sul web: nasce così il piccolo capolavoro “Paraolympic dream” di Yeshey, New York. Ha creduto in se stesso, ma anche nell’importanza di affidarsi agli altri: la tecnologia ha aiutato altri a credere in se stessi e nei loro sogni solo testimoniando la vita di un uomo».

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