Non sono angeli, ma cittadini attivi. Poco l’alluvione di Genova dei primi di novembre è partita una campagna comunicativa per invitare tutti a parlare del volontariato e dell’impegno personale dei cittadini – anche quando sono giovani – senza retorica.
Era infatti successo che i media hanno cominciato a definire “angeli del fango” i giovani che volontariamente si erano recati nelle zone alluvionate per spalare e dare il loro contributo a contenere i danni e salvare il salvabile. Così è partito l’appello, per dire: «Li vedete come angeli, ma sono persone “comuni”, attive e responsabili che nell’emergenza si riuniscono, imbracciano una pala e si mettono a scavare nel fango». Il problema è che «se li chiamate ‘”angeli” o “eroi”, non fate altro che mitizzarli, trasformarli in qualcosa di eccezionale, di quasi divino. Non sono angeli (né eroi), ma forse sono di più: sono testimoni, esempi di uno stile di vita diverso».
La puntualizzazione è importante perché si colloca all’interno di una decennale battaglia per far sì che i media diano più spazio al volontariato e ne parlino in modo più rispondente alla realtà. E quindi non solo in occasione delle emergenze o del Natale, quando tutti si sentono più buoni e disponibili.
Come dice l’appello, «nel nostro paese c’è bisogno di far conoscere il volontariato, la solidarietà e qualsiasi altra forma di aiuto reciproco, per quello che sono, non soltanto attraverso titoli e slogan. C’è bisogno di raccontare le storie delle persone che credono nella solidarietà per comunicare attraverso loro e con loro un nuovo modello di comunità, nuovi stili di vita. Forse, anche ascoltando queste voci, cominceremmo a risolvere quei problemi, come il dissesto del territorio, per cui il volontariato e la società civile si adoperano lontani dai riflettori, senza retorica, senza bisogno di esagerazioni e iperboli, senza santi o eroi». Ognuno, quindi, faccia la sua parte, anche i media.
Si può aderire alla campagna attraverso il sito o via Facebook. Su Twitter: #nonsonoangeli