05 Gen 2015

Non dirmi che hai paura, anche se ce l’hai

In due libri da portarsi dietro nel nuovo anno - "Non dirmi che hai paura" e "Confessioni di un trafficante di uomini" - le chiavi di lettura degli sbarchi dei richiedenti asilo sulle nostre coste

I tentativi – da parte di chi fugge da guerre, persecuzioni, situazioni socioculturali insostenibili – di raggiungere le coste italiane non sono finiti con l’inverno, e assumono forme sempre nuove. Durante le feste di Natale abbiamo visto non più barconi, ma vecchi mercantili con centinaia di chiedenti asilo abbandonati dagli scafisti e affidati al mare con il timone bloccato, ma pare ci fossero clandestini a bordo del traghetto che si è incendiato tra l’Albania e l’Italia a fine dicembre.

Quelli che riescono a sbarcare, però, sono solo una parte dei molti richeidenti asilo che partono per viaggi che possono durare qualche mese, ma anche due o tre anni, e che durante il percorso perdono i pochi beni che hanno potuto portare con sé, la dignità, spesso la vita.

Viaggi durissimi, segnati dall’incertezza e dal pericolo, ma anche dalla prepotenza e dalla violenza dei trafficanti, che sulla loro pelle si arricchiscono. Trafficanti che lavoro grazie ad un’organizzazione reticolare complessa, ma efficace: uomini diversi si occupano dei diversi tratti del percorso e non conoscono gli altri. Così, se anche venissero arrestati, non potrebbero “tradire” l’organizzazione. Lo raccontano bene Andrea Di Nicola e Giampaolo Musumeci nel libro “Confessioni di un trafficante di Uomini”, uscito qualche mese fa (Chiarelettere 2014).

Un libro che ricostruisce appunto il funzionamento del traffico di uomini sulle principali rotte, permettendo di capire perché è tanto difficile combatterlo. Un libro che sorprende, soprattutto quando descrive le motivazioni dei trafficanti stessi, i quali spesso si considerano persone che fanno del bene, quasi dei salvatori. Nonostante queste rotte siano segnati dallo sfruttamento e dalla morte.

Dallo sfruttamento e dalla morte è stato segnato anche il viaggio di Samia, ragazzina cresciuta a Mogadiscio in mezzo ad una miseria pervasiva, ma compensata dall’affetto dei familiari. Finché il radicalismo islamico, più pervasivo e traditore della miseria, non le ha portato via anche quello.

La storia di Samia Yusuf Omar e del suo viaggio verso l’Italia è narrata Giuseppe Catozzella in “Non dirmi che hai paura” (ed. Feltrinelli 2014). La forma è del romanzo, ma la storia è vera, ed è quella, appunto, di una ragazzina che ha un dono speciale: la capacità di correre veloce, che la porterà a partecipare alle olimpiadi di Pechino e a diventare un simbolo non solo per le atlete, ma anche per le donne musulmane di tutto il mondo.

Così la ragazzina che corre a piedi nudi, che non ha un’alimentazione adeguata ed un vero allenatore, che è costretta ad allenarsi con il burka, vuole partecipare alle Olimpiadi di Londra del 2012. E quindi parte.

La prima parte del libro racconta l’infanzia di Samia, la nascita del suo sogno, il disfacimento del suo mondo. La seconda parte ci permette di accompagnarla lungo il suo viaggio, ammirandone il coraggio e la determinazione, ma anche soffrendo per gli ostacoli che sembrano sempre più insormontabili. È un libro coinvolgente, che non si ha il coraggio smettere di leggere.

“Storie di un tarffciante di uomini” aiuta a capire, “Non dirmi che hai paura” aiuta ad entrare in empatia con quanti sbarcano sulle nostre coste, nell’indifferenza degli altri paesi europei e suscitando nell’opinione pubblica un allarme decisamente sovradimensionato, che spesso fa dimenticare che i diritti umani sono alla base della nostra civiltà. Due libri da portarsi dietro nel 2015 e da tenere presenti quando leggiamo le notizie sugli sbarchi o quando  assistiamo alle periodiche strumentalizzazioni politiche del problema.

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