Strane creature, le
donne.
Quelle italiane poi
sono una specie rara.
Prima le vedi intente
a rifarsi la treccia arruffata sul grembiulino, poi si appassionano alla storia
e alla matematica, e mentre tu pensi che la loro testolina stia immaginando
film idilliaci di rose e lunghe lettere d’amore platonico con il professore del
liceo, quello che per intendersi ti diceva sempre di applicarti di più, loro
studiano davvero, e in un batter d’occhio discutono la tesi prima di te, con la
treccia piena di shatush e foglie d’alloro.
Respiri un attimo, pensieroso
riguardo al tuo nuovo lavoro, e ti
guardi intorno.
La tua migliore amica
trecciuta è ancora lì, accanto a te, ti offre un caffè caldo.
Ma non in ufficio.
Anche la tua ragazza
sa preparare un caffè buonissimo, e se è ispirata ti cucina anche una torta al
cioccolato per accompagnamento, tira fuori forchettone di plastica e tovaglioli
per tutti e puoi sfogare la tua tristezza dividendo cioccolata con un esercito
affamato.
Ma non in ufficio,
ancora una volta.
In effetti, forse non
ti piace andare in ufficio perché ci sono pochi caffè. E pochissime donne
disposte a servirteli. Di colpo senti la mancanza di quel profumo vanigliato,
aspro e dolce, della tua collega che ti prestava la penna per l’esame.
Ma dove
sono finite quelle creaturine tutte tacchi e alloro in testa?
Non sono sparite. Non
siamo sparite.
Siamo tutte in uno
spazietto, un buco infernale, chiamato divario, una verità che troppo spesso si
fa passare per leggenda metropolitana, eppure è così: le donne dopo la laurea
cadono in una gola stretta ma profonda da cui soltanto poche riescono ad
emergere.
Secondo i dati
pubblicati da Repubblica, in Italia ogni 100
uomini col titolo accademico in tasca, ci sono 155,8 donne che hanno raggiunto
il medesimo traguardo scolastico. In questo contesto, il nostro Paese è al
decimo posto in Europa: in cima c’è la Lettonia con 207 donne laureate ogni cento
uomini, in fondo finisce l’Irlanda con 120 ogni cento.
Poi cosa succede?
Inciampiamo in lavoretti
precari, sottopagati, e le cose si complicano se decidiamo di mettere su
famiglia.
In cifre assolute, da
noi nel 2014 la retribuzione annua (lorda e media) è stata di 29.891 euro per
gli uomini e di 27.890 euro per le donne (fonteJobpricing).
In Europa, infatti, è del
16,4% il divario medio retributivo tra uomini e donne che hanno un impiego.
E le donne manager,
le donne in politica che vediamo alla tv allora? Sono finte?
No, ma sono rare eccezioni, non la regola.
Un’occhiata alle tv pubbliche europee conferma lo
squilibrio. L’Italia è 12esima sui Ventotto con il 100% di dirigenti senior
uomini e soltanto il 33% di manager donne. Per la dirigenza senior, la media Ue
fornisce un rapporto che è 30 a 70 a tutto vantaggio maschile.
Meglio di noi, dunque, fanno Paesi come Bulgaria,
Danimarca, Irlanda e Spagna. Finlandia e Regno Unito riescono ad agguantare la
parità – Svezia e Lussemburgo addirittura a ribaltare il trend -mentre peggio dell’Italia si comportano, tra
gli altri, Belgio e Polonia.
Quanto dovresti guadagnare per il tuo lavoro?
Chiedilo a te stesso.
Ripeti la domanda alla tua
vicina di casa, alla tua amica di vecchia data, a tua madre, a tua sorella.
Otterrai risposte diverse, come diverso, ancora, è il trattamento che viene
riservato al gentil sesso. Che prima o poi, diciamocelo, si stuferà di essere
così gentile in mezzo a tutte queste ingiustizie, e non basteranno fiumi di
mimose per riempire quel buco infernale in cui ci spingono ogni giorno i
pregiudizi.
Oggi porta pure una mimosa alla tua migliore amica,
l’accetterà come quando se la metteva tra le ciocche della treccia da bambina. Anche
sull’orlo di quel buco profondo chiamato divario, ti sorriderà, pronta a
versarti ancora il solito caffè.
La mimosa dura un giorno, l’essere donna molto di
più.
Ulteriori approfondimenti sui dati del divario
retributivo uomini-donne: articolo di Repubblica