Appassionato, tormentato ma disinvolto, “napoletano” verace
negli accenti e nei modi. Ma soprattutto un prete vero, con il cuore in mano.
Un cuore addolorato per le ferite del suo popolo. Per amore del quale non ha
nessuna intenzione di tacere. Per questo l’intervento di don Maurizio Patriciello,
parroco del quartiere Parco Verde di Caiano, in provincia di Caserta, zona tristemente
nota come Terra dei Fuochi, al convegno “Per un mondo migliore. Convegno sulla
sostenibilità ,
svoltosi alla Pontificia Università Salesiana il 5 marzo scorso, ha un effetto travolgente.
«Mi sento come un padre
a cui hanno stuprato il figlio sotto i suoi occhi», esordisce in modo brusco e
senza giri di parole. «La nostra terra è stata stuprata mentre i nostri sindaci
facevano i sindaci, i governatori facevano i governatori, i vescovi facevano i
vescovi…».
E poi ricorda quanto dolore ha accompagnato gli anni del suo
mandato pastorale, le diagnosi, le cure, le morti per cancro, e le lotte di
coloro che non si vogliono rassegnare agli indecenti riversamenti di rifiuti
tossici e pericolosi in massa e su una porzione di terra bellissima. O almeno che
lo era.«Noi facevamo i funerali, con una bella predica, davamo consolazione…
Poi ci siamo accorti che nella nostra “Campania Felix” stava succedendo
qualcosa, ma cosa? Il fumo, la storia della ‘munnezza, (la spazzatura)».
«È
così che ci hanno ingannato!» grida, sommesso, don Maurizio. E parte con il
racconto della sua storia. Lui che voleva soltanto fare il prete, senza
occuparsi di sociale. «Mi difendevo, non volevo essere in questa storia, non ci
volevo stare, volevo essere solo un prete e volevo essere lasciato fare il
prete!».
Diretto, esplicito, senza preoccuparsi dello stile linguistico, che in
questa storia veramente è l’ultima cosa di cui preoccuparsi …
«
Un giorno, però, sono capitato ad un convegno di un partito
e il giornalista mi ha dato “un pacco” (una fregatura). Mi chiede senza alcun
avviso, perché sono sceso in campo su questo tema. Allora ho visto tutta
quella gente bene pagata che mi stava di fronte e ho risposto, io che guadagno
33 euro al giorno, ho detto che noi abbiamo pagato loro per difenderli, ma loro
non ci hanno aiutato. Non hanno fatto niente».
Tutto è partito una notte, quando «ci svegliamo per il fetore
fortissimo, insostenibile, chiudo la porta e finestra della piccolissima casa,
in camera da letto e guardo il Crocifisso che ho appeso su una parete, grande, sproporzionato.
Gli parlo e gli chiedo “ma cosa devo fare? da dove devo cominciare, non so dove
mettere le mani?! Né quello che lui mi chiedeva… Ma poi ho capito. E sono
partito dalla forza della disperazione. Ho visto il mio Pc davanti e in piena
notte ho cominciato a scrivere agli abitanti del mio paese, che erano svegli in
quel momento per il fetore insopportabile. Sono arrivate subito centinaia di
risposte. Sono convinto che il Signore ci ha aiutato. Abbiamo subito cominciato
a scrivere e ci siamo resi conto di essere all’anno zero, anche se vi sembra
strano. Ho capito poi che bisognava mettere insieme questi cristiani. Che è una
cosa complicata di per sé, dove ci vuole davvero l’opera dello Spirito Santo… Abbiamo
messo insieme 10 amministrazioni, il vescovo. Ci voleva un aiuto dall’alto,
però, per fare scoppiare il caso. Ed è arrivato il 17 ottobre del 2012, quando
un giorno vado in prefettura in Caserta, per un incontro istituzionale dove
c’era anche il Prefetto di Napoli. Mi alzo per dire alcune cose, ma non avevo
capito che quell’incontro aveva un carattere istituzionale, e parlo come so
fare io della Terra e del problema della mia gente». A quel punto don Maurizio
ricorda che – per aver soltanto chiamato “signora” la collega dell’allora prefetto
di Napoli – viene da questi aspramente rimproverato per aver “offeso” le
istituzioni, i cittadini, gli altri sindaci. Don Maurizio, timidamente, prova a
replicare, ma viene zittito.
Il caso nasce perché qualcuno alle sue spalle
riprende con un telefonino e manda il fatto sul web. Subito si scatena la
solidarietà. Mentre durante il fatto nessuno spese una parola per un “povero
prete che lottava per la sua gente”, dopo cominciarono a circolare le foto e si
capi subito che si trattava di una tragedia, di un disastro; il ministro dell’Interno
di allora, alla quale avevano detto che era tutto sotto controllo, si
ricredette.
Ed è cominciato un lungo e per nulla sereno percorso che ha portato
(proprio il giorno precedente all’intervento di don Maurizio al convegno sulla
Sostenibilità) all’approvazione al Senato di una normativa che inasprisce le
pene per i reati ambientali. «Ma non sapete le resistenze che gli industriali
oppongono!», ammonisce il prete campano. «Molti dei miei conterranei mi dicono
che è ancora troppo poco, ma io sono convinto che i grandi successi si
ottengono con i piccoli passi e che dobbiamo andare avanti. Dopo che ci siamo
dati da fare denunciando le amministrazioni inadempienti, abbiamo raccolto
35mila firme, abbiamo fatto una petizione al Parlamento europeo, abbiamo fatto
un ricorso alla Corte europea per i diritti dell’uomo, i ministri sono venuti
in parrocchia, aggiungo ora che noi stessi, che lo abitiamo, dobbiamo essere
attenti al nostro territorio; tanti nostri deputati e senatori non sanno
proprio niente del nostro territorio!» grida.
«E io ricordo: noi rischiamo la
vita!». Per questo cita anche il suo colloquio con il vicepresidente della
Camera Luigi Di Maio, campano anche lui, che a pochi giorni dall’incidente
stradale, in cui ha perso la vita Federico Bisceglia, Pubblico ministero che
indagava sui veleni della Terra dei Fuochi, lascia intendere in alcune sue
dichiarazioni che forse non è stato casuale. Patriciello, saggiamente lo ha
rimproverato: «in quanto vicepresidente della Camera, uomo delle istituzioni,
io gli ho detto “tieniti per te i tuoi dubbi se non hai prove, penso che
un’alta carica dello Stato non possa fare del male alla sua gente dicendo cose
non provate; così ci togli la pace…”».
L’amore per il suo popolo, non disgiunto dal coraggio e dalla
lungimiranza del suo ruolo, don Maurizio lo testimonia raccontando di un altro
incontro importante: quello con il pentito della camorra Carmine Schiavone,
poi morto in situazioni non chiare. «Dopo l’incontro con Schiavone – racconta don
Maurizio – c’è voluta una settimana perché recuperassi psicologicamente. Lui ha
tolto la vita a 50 persone, ma era importante capire cosa c’è stato alla base
di quell’abbraccio mortale tra la camorre casalese e i centri di potere che
hanno consentito di riversare tonnellate di veleni sulla nostra terra. Quando
parlava questo nonnino con i capelli bianchi, cercavo di ricordarmi quanto male
hanno fatto, quante stragi quante morti, ma con questi animali chi ha fatto
alleanza? Qualcuno che è anche animale per aver pensato di fare alleanza con
questi?», urla il prete. «Gli ho chiesto con chiarezza: ma come avete potuto
permettere di avvelenare i vostri figli, concedendo di portare questi rifiuti,
che razza di camorristi siete stati?. “Hai ragione, mi ha risposto: capivamo
che stavamo facendo delle cose brutte, ma non la gravità vera della cosa.
Quando ho cercato di fermarli, perché stavamo avvelenando il nostro popolo, mi
hanno fatto arrestare».
«Quanto ci sia di vero – conclude amaro don Maurizio – non
sta a me a decidere, saranno i magistrati».
E infine la conclusione più pastorale di don Maurizio: «Sapete
a quanta gente la camorra fa comodo, sapete a quanti? C’è gente che dietro la
camorra si nasconde. Quando a un certo punto si sono resi conto che non c’era
più molto spazio per interrare i rifiuti, hanno cominciato a bruciare tutto ciò
che poteva essere bruciato. È qui che interviene la nostra coscienza di
cittadini. Ora c’è la legge, i vescovi campani hanno prodotto due documenti,
bene! Ma siamo noi che dobbiamo tenere alta la tensione, per questo dobbiamo
ricordare don Peppino Diana, e dire tutti “se dovessi zittire io parlerebbero i
sassi. Per amore del mio popolo non tacerò!”».