150
anni di amore per l’Africa
Non
poteva celebrarsi in modo migliore il 150esimo del “Piano di rigenerazione per l’Africa” di San Daniele Comboni, in ricordo del suo
pensiero: “Convertire l’Africa con l’Africa”. Il convegno “Africa: continente in cammino” – tenutosi dal 13 al 15 marzo presso l’Auditorio del Seraphicum a Roma – è stato
quello che voleva essere, un pensatoio di riflessione. Ricordare
quindi il tanto lavoro e il bene fatto dai padri comboniani per
l’Africa, in un momento in cui questa torna al centro
dell’attenzione per il problema degli sbarchi dei clandestini che
si fa pressante e il mare nostrum si trasforma lentamente in un mare
mostrum.
Nel mare di provvedimenti europei che sembrano naufragare
anch’essi senza esiti positivi, è una piccola consolazione sapere
che una deputata europea, Cecile Kyenge, orgogliosamente africana,
già ministro italiano per l’immigrazione, si stia occupando di
riformulare una normativa sull’immigrazione in grado di arginare il
problema e di cui ha esposto i punti salienti, proprio in occasione di
questo storico anniversario.
Come il Piano di Comboni per la
rigenerazione dell’Africa fu mosso dall’indignazione provocata in
lui dallo stato di abbandono in cui si trovava gran parte del
continente, così il piano europeo sull’immigrazione è mosso
dall’indignazione per ciò che accade al largo delle coste di
Lampedusa. Il Parlamento europeo ha approvato quindi una risoluzione,
dice la Kyenge, suddivisa in otto punti, che porterà un’innovazione
radicale delle politiche migratorie.
La direzione che prenderà
l’Europa è quella della solidarietà tra tutti i membri affinché
non si lasci solo a pochi l’incombenza dei rifugiati.
Qui
ci torna ancora in mente l’esempio di Comboni. L’indignazione di
Comboni infatti non è rimasta sterile, ma lo ha portato alla
compassione e all’azione. Un’azione caratterizzata da un’intima
condivisione di vita con l’Africa. Diceva: «L’Africa e i poveri
neri si sono impadroniti del mio cuore, che vive soltanto per loro,
particolarmente da quando il Rappresentante di Gesù Cristo, il S.
Padre, mi ha incoraggiato a lavorare per l’Africa». Molte delle
nostre indignazioni, davanti agli orrori e alle ingiustizie del mondo,
e in particolare dell’Africa, rimangono sterili proprio perché non
si fa lo sforzo di cambiare le cose e gli interessi economici dei
paesi ricchi sembrano spesso l’unico motore del mondo.
Samia Nkruma, figlia del
noto presidente e attualmente parlamentare del Ghana, ha fatto notare
nel suo intervento come sia di fondamentale importanza agire
concretamente per ricostruire le economie dei paesi africani rendendole autonome. Una economia che via via si stacchi dal cordone ombelicale
degli ex paesi colonizzatori, e non si debba più attendere
l’intervento esterno per risolvere scottanti questioni interne al
continente, non ultimo il terrorismo.
Ad
ogni modo non bisogna limitarsi, come è scaturito dal dibattito,
alle questioni politiche ed economiche. Dobbiamo apprezzare la
cultura africana in tutte le sue sfaccettature. Anche la religione
tradizionale ha il suo peso e va considerata come tale nel nuovo
concetto di globalizzazione multiculturale. Dalle parole del teologo
Nkafu Nkemkia apprendiamo che, per parlare di un vero dialogo
interculturale in questo momento storico, si devono incontrare gli
africani anche nelle loro tradizioni e nell’esperienza religiosa
tradizionale. «All’interno delle tribù, nelle tradizioni sono
conservate le strutture religiose costanti e fisse nel tempo e
tuttora si pratica il culto a Dio per mezzo degli antenati: è grazie
a questi aspetti che è ancora oggi possibile studiare, comprendere e
comunicare l’esperienza religiosa africana».
A
queste considerazioni si deve aggiungere il problema che in Italia
l’Africa si studia e si recepisce ancora troppo poco, in
particolare a livello accademico, e perciò sarà ben difficile
raggiungere la sensibilizzazione necessaria a capire che il problema
ci appartiene sempre più e che permetterebbe una equa e feconda
integrazione degli immigrati africani nel nostro paese.