30 Mar 2015

Terrorismo e intolleranza ai tempi di Twitter

Il social network, che da poco ha festeggiato i 9 anni di vita, sembra essere lo strumento di propaganda più efficace per il terrorismo dell'Isis. Ma sono tanti i casi di intolleranza e discriminazione che trovano libero sfogo con un cinguettio, anche in Italia

Le guerre, al giorno d’oggi, si combattono anche e soprattutto sui social. A provarlo è uno studio effettuato da J.M. Berger, ricercatore della Brookings Institution e co-autore del libro “Isis: the state of terror”, insieme al data scientist (un esperto dei dati relativi ai social network) Jonathan Morgan. Sono 46 mila i profili Twitter da cui ogni giorno partono più di 133 mila cinguettii pro-Isis, di cui 1500 condividono più di 50 contenuti a favore della jihad.


I risultati sono stati raccolti in The Isis Twitter census”, un vero e proprio censimento che definisce i profili socio-demografici dei supporters del Califfato. Da questi studi emerge persino il profilo dello jihadista tipo, il perfetto soldatino-social per intenderci: 7 tweet al giorno, alternando arabo e inglese, (ma con il 75% dei messaggi scritti nella lingua di Maometto), che raggiungono in media più di 1000 follower.


Il grande successo dell’Is sui social media è quindi attribuibile ad un ristretto circolo di utenti molto attivi, tutti abili utilizzatori dello strumento oramai in grado di rendere virali slogan terroristici e video del terrore. Un’abile strategia comunicativa, a cui stanno cercando di far fronte in primis i responsabili della piattaforma. A riguardo, gli stessi Berger e Morgan dichiarano: «Le sospensioni dei profili hanno effetti concreti nel limitare le possibilità e la portata delle attività dell’Is sui social media».




Sembra nascere quindi l’esigenza di una vera e propria politica di controllo del web, per contrastare quello che potremmo definire come il “terrorismo online”, che poi altro non è che propaganda delle azioni pratiche e quotidiane dei terroristi. Twitter si è già mosso in questo senso, chiudendo e segnalando nei giorni scorsi più di 2000 account legati allo Stato Islamico, ma sono tanti gli interrogativi che sorgono: innanzitutto da una parte ci si chiede se convenga o meno chiudere questi account o se viceversa, una volta scovati, non debbano essere invece messi sotto controllo per fornire informazioni utili ai servizi di intelligence anti-terroristici. Dall’altra parte si apre una tematica ancora più grande: qual è il limite che la censura non può e non deve superare? Quando e come le piattaforme hanno “il diritto” di censurare determinate situazioni di intolleranza e di terrorismo?




La questione non riguarda solo il terrorismo, ma bensì si allarga a macchia d’olio ad altre, e più vicine a noi geograficamente parlando, forme di discriminazione e intolleranza. Misoginia (odio verso le donne), omofobia, razzismo, disabilità, antisemitismo, sui social italiani c’è anche questo. A dircelo è Vox, l’osservatorio italiano sui diritti, che dopo un anno di lavoro, 8 mesi di monitoraggio su Twitter e più di 2 milioni di cinguettii estratti e studiati, ha realizzato le mappe dell’intolleranza (vedi il sito www.voxdiritti.it per le mappe nel dettaglio e altre informazioni). «il progetto voluto da Vox, che ha coinvolto le università di Milano, Roma e Bari – affermano i responsabili dello studio – 5 mappe che mostrano il livello d’intolleranza nei confronti di donne, omosessuali, immigrati, diversamente abili ed ebrei, sul web. I risultati? Inquietanti, e specchio di un’Italia intollerante verso le minoranze e le diversità». Una geolocalizzazione dei tweet che individua Lombardia, Friuli, Abruzzo, Campania e Puglia come le regioni più intolleranti, ma come si usa dire tutto il mondo è paese e allora picchi di discriminazione si registrano anche nel Centro Italia o nel Sud, a seconda dell’argomento trattato e del tipo di discriminazione.


Anche qui, come nel caso dello studio Berger–Morgan sull’Isis, la scelta del social è dovuta alla maggior facilità di accedere ai contenuti postati, che con Twitter è possibile indipendentemente dall’autorizzazione dell’utente. “The Isis Twitter census” e “Le mappe dell’intolleranza” così non solo individuano e registrano sempre più odio, discriminazione e razzismo, ma ci invitano ad una riflessione ancora più interessante: dalla parola twittata o postata, quanto è breve il passo che poi porta alla violenza nel mondo reale?

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