14 Mag 2015

Antartide: il continente alla fine della terra, che ci può salvare dai nostri modelli di sviluppo

La conoscenza di ambienti così fragili e cruciali ci aiuta a capire che il modo in cui viviamo fa male a noi e al pianeta

Dopo una visita
all’International Antartic Center in Nuova Zelanda, dove insegnano ad
apprezzare il ghiaccio e il freddo attraverso finte tempeste di neve e
documentari spettacolari e dove si può imparare a conoscere l’attuale
drammatica situazione dei cambiamenti climatici, diventa naturale porsi alcune
domande relative al pianeta in cui viviamo.

Le
nostre giornate sono scandite da orari: ci alziamo, andiamo a lavorare,
mangiamo, dormiamo. Riuscire a fare bene il proprio lavoro e ad avere una vita
sociale sembrano essere gli obiettivi da perseguire e sappiamo che non sono
neanche così semplici da raggiungere.

Ma
vi siete mai chiesti se questo stile di vita si basa su una nostra scelta o su
regole imposte dalla società in cui viviamo? Ad esempio, cosa mangiamo? Cibi
prodotti industrialmente che ricordano solo da lontano la materia prima di cui sono
fatti. Come ci spostiamo? Su mezzi, le automobili, abbastanza primitivi,
inquinanti e rumorosi. Come ci divertiamo? Cercando avventure fittizie facendo bungy
jumping
senza magari aver mai fatto una passeggiata in montagna. Studiamo
materie non collegate alle priorità del periodo storico in cui viviamo – sapete
niente del nucleare o dello scioglimento dei ghiacciai?

 

Pochi
ma cattivi.
Cibo, acqua,
spostamenti. Le sole cose che ci servono veramente per vivere sono gestite da
poche multinazionali.

Fast
food colorati e invitanti come gli onnipresenti Mc Donald’s, che però hanno
dubbie certificazioni etiche e sugli standard di qualità sulla provenienza di materie
prime e fornitori; adrenalici parchi di divertimento come Sea World,
apparentemente regno dei delfini – che sono stati in realtà catturati dalla
mafia giapponese che grazie a questi parchi divertimento ha sviluppato un
business fiorente; escursioni in quad, una sorta di moto a quattro ruote, che distruggono le dune ma divertono
i turisti che escono dai loro resort e si illudono così di conoscere il
deserto.

Farmaci
sempre più chimici, animali allevati in gabbie spaventose, inquinamento
irreversibile di fiumi e aria sono solo alcune delle esternalità negative che
poche società producono per beni e servizi, che offrono solo un benessere
temporaneo. I cambiamenti sociali dovuti alle nuove dinamiche del turismo sul
territorio sono quindi per gran parte responsabili di questi trends. Chi
ha scelto tutto questo?

 

Pensiero
unico.
Abbiamo
imparato  a diventare raffinatissimi
nell’utilizzo di armi e violenza e non sappiamo quasi più come si fa fa a
pensare e ad usare la compassione. Assistiamo a cambiamenti tecnologici ed ad
avvenimenti straordinari quasi senza averne coscienza e questo ha un impatto
sulle nostre capacità di scelta. Le nostre scelte di consumo sono illusorie,
essendo per la maggior parte guidate, attraverso sofisticate operazioni di
marketing, da aziende che perseguono solo il profitto. Forse dovremmo
farci qualche domanda in più: il libero mercato si è sviluppato
democraticamente? Per Naomi Klein, scrittrice e attivista, no, in quanto
governi e lobby usano il disorientamento pubblico causato da guerre,
terrorismo o disastri naturali per imporre i loro modelli economici. Questa è
infatti la tesi del suo libro “The shock doctrine”. Una sua citazione famosa
dice «(..)molti occidentali ormai sono
terrorizzati, profilati in ogni particolare, e se sono del colore sbagliato,
delle idee sbagliate, si sentono vulnerabili. Abbiamo le risposte, ma manca la
fiducia in noi stessi, ci hanno fatto credere che non esistono alternative:
nell’emisfero sud del mondo invece la resistenza è ancora forte a questo
pensiero unico». E forse non ha tutti i torti, se prestiamo più attenzione
ai segnali che ci mandano ambienti fragili e cruciali come  l’Antartide.

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