02 Lug 2015

La sharing economy, per combattere la crisi condividendo esperienze

Dai trasporti al cibo, dal car sharing al social eating: quando attraverso la condivisione ci si apre all'altro e si sperimenta la parola "fiducia"

Sembra il fenomeno del momento, la “Sharing economy”, tradotto: l’economia della condivisione. Un sistema dove non si possiedono beni e servizi, ma anzi, relativamente ad un bisogno, si pagano per un determinato periodo di tempo (in proporzione all’uso), dando così poi agli altri la possibilità di usufruirne in un secondo momento. Una esigenza che nasce da una crisi sempre più soffocante, per una sorta di ritorno al passato: scambiare, barattare, condividere per aiutarsi reciprocamente. Ma attenzione al trucco, non è volontariato, perché “quel che è mio è anche tuo, se paghi o mi dai qualcosa in cambio”.




Jeremy Rifkin, tra i profeti di questa nuova forma di economia, la spiega addirittura parlando dei bambini e del loro rapporto con il primo bene materiale a loro disposizione, il giocattolo. «Si sa benissimo che il bambino non gioca per più di due giorni con lo stesso giocattolo», afferma Rifkin. «Quel giocattolo può essere rimandato sul sito dove è stato acquistato per ricevere un credito, in modo tale che quel bambino possa ricevere un nuovo giocattolo e quello stesso oggetto possa andare a qualcun altro. Così i nuovi bambini imparano che il giocattolo non è una cosa da possedere, ma semplicemente una esperienza alla quale avere accesso per un limitato periodo di tempo».


Potrebbe cambiare davvero il modo con cui noi pensiamo al mercato: avere accesso a tutta una serie di cose e non aver bisogno di possederle. Una rivoluzione considerando come, secondo molti, sia proprio il senso della proprietà delle cose a renderci schiavi del capitalismo. L’altra faccia della medaglia però vede la sharing economy come una nuova e ancora più sofisticata e sottile forma di consumismo sfrenato. Secondo Arun Sundararajan, docente alla Stern School of Business della New York University, infatti «siamo di fronte a un nuovo tipo di capitalismo, dalla proprietà tradizionale dalle grandi marche di un tempo, si passa ad un sistema di accesso, su basi più paritarie». Consideriamo poi un altro aspetto: grazie al web la condivisione dei beni diventa qualcosa di globale, generalizzata in tutto il mondo ad ogni latitudine.




Trasporti. La sharing economy trova una delle sue più grandi diffusioni nel settore dei trasporti. Il car sharing, in linea generale un servizio che permette di utilizzare un’automobile su prenotazione, prelevandola e riportandola e pagando in base all’utilizzo, è un fenomeno che cresce giorno dopo giorno. Da Uber a Car2Go, passando per GuidaMi, E-vai, Enjoy e Twist l’obiettivo è comune: usare di meno la propria automobile, soprattutto nelle grandi città, a causa di disagi dovuti a parcheggi, zone a traffico limitato e altro ancora. AlixPartners, una società di consulenza, prevede addirittura che, grazie al car sharing, entro il 2020 oltre 4 milioni di vetture spariranno dalle strade europee e statunitensi. Nel nostro continente, Berlino, Londra e Parigi sono già leader nel settore, (con la capitale tedesca che conta più di 200 mila iscritti ai servizi di car sharing), ma in Italia Milano vede il fenomeno in piena espansione: nel 2013, nel capoluogo lombardo, la fetta di mercato è aumentata del 400%. Alcune aziende offrono persino un servizio di car sharing “one way”, dove non ci sono parcheggi fissi e stabiliti e le vetture possono essere prese e rilasciate in qualsiasi punto all’interno dell’area coperta dal servizio. Il “ride sharing” invece, di cui è promotrice e leader l’azienda Blabla Car pone l’accento sul concetto di “condivisione del viaggio”. L’automobilista, in un certo senso, affitta i propri posti liberi in macchina per trovare dei compagni di viaggio che contribuiscono alle spese di benzina, manutenzione, pedaggio ecc. Una sorta di moderno autostop, dove però ci si accorda prima del viaggio e gli utenti sono monitorati tramite un sistema di feedback che rende il tutto più sicuro e meno rischioso.




Turismo e cibo. Viaggiare low cost, per non farsi fermare dalla crisi, diventa sempre più una necessità. Muoversi, come detto, diventa una esperienza di condivisione fondamentale, ma anche alloggiare e mangiare con pochi soldi diventa un aspetto da non sottovalutare. Il social eating ad esempio, una sorta di «indovina chi viene a cena?» (famosissimo film americano di fine anni ’60), propone una esperienza di condivisione su un tema molto caro a noi italiani: il cibo. “Mangiare a casa di…”, avendo magari solamente dato un’occhiata al menù (che decide il padrone di casa), prenotando con un click e contribuendo con una piccola somma alle spese: ecco servito il perfetto pranzo tra sconosciuti. Esigenza economica, ma anche una lotta contro la solitudine. Molti infatti, utilizzano il social eating per cercare compagnia a tavola, magari di domenica o nei festivi, quando rimanere soli, rispetto al resto della settimana, acquista tutto un altro significato.




Si sa però che dopo una buona cena, il riposino è d’obbligo. E perché non farlo ancora una volta a basso costo? Gli hotel oramai sembrano essere fuori portata per molti, e allora da Airbnb (che affitta appartamenti e case in tutto il mondo), a Home Exchange, (in cui ci gli utenti si possono scambiare casa a costo zero) le possibilità sono tante. Poi, per chi viaggia low budget c’è anche il couchsurfing, ossia accogliere un ospite sul divano di casa (dall’inglese “couch” = divano) a prezzi bassi o addirittura gratis, fino ad arrivare all’innovativo Bed&learn (dormi e impara): hai un letto dove dormire gratis se in cambio insegni qualcosa a chi ti ospita.




Sharing economy quindi vuol dire innanzitutto sperimentare la condivisione: dalle cose materiali a delle vere e proprie esperienze di vita. Alla base, non può che esserci un rapporto di fiducia nell’altro, nonostante ogni utente possa comunque rilasciare un feedback a chi eroga il servizio, che se negativo, nel web equivale ad una emarginazione quasi totale da parte degli altri utenti. Aprirsi all’altro insomma, per fare in modo che il suo mondo ti entri dentro e che le tue esperienze possano andare ad arricchire viceversa il vissuto altrui. Quando appunto la necessità economica apre nuove strade di socializzazione.

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