«Brad Pitt ha centrato un albero in snowboard ed è morto sul colpo. (Corriere.it, 2012)». «Obama ha deciso: anello italiano per Michelle. (Rai News, 2008)». «Protesi seno esplosive: la kamikaze in aereo, nuova frontiera di Al Qaeda. (Il Mattino, 2013)». «Velocità, false buche per non correre. (Repubblica, 2006)». «Si sposano e scoprono di essere fratelli gemelli. (La Stampa, 2008)». Questi sono solo alcuni dei titoli più stravaganti pubblicati in questi anni dai principali organi di informazione italiani. Peccato si tratti di bufale, notizie false o più chiaramente, bugie.
A raccoglierle e smascherarle nel libro “Notizie che non lo erano” (Rizzoli, 2015) è stato il fondatore e direttore de “Il Post”, Luca Sofri. Un progetto iniziato nel 2007 grazie ad una rubrica settimanale di fact checking che lo stesso giornalista curava per la Gazzetta dello Sport. Vi siete mai chiesti quante volte è morto Fidel Castro, Morgan Freeman o il nostro Lino Banfi? E che dire dell’affascinante spy story dell’orologio sottratto da un albanese al presidente George W. Bush durante la sua visita di Stato? I giornali italiani, di basso e alto rango, sono talmente attratti dalle bufale che non possono fare a meno di pubblicarle. Molte di loro, spiega Sofri, le importiamo dai tabloid inglesi e americani e senza verifica, né approfondimento, gli concediamo subito il titolo in grassetto e la foto in prima pagina.
Il web, però, non è il solo colpevole. Con internet – dice Sofri – «l’informazione non è diventata meno accurata, è solo che prima non ce ne accorgevamo perché nel 1989 ci volevano gli articoli di altri giornalisti e inviati a Washington per far sapere che una ricostruzione era infondata. Prima vedevamo l’articolo e il contenuto, ora siamo in grado di vedere rapidamente come è scritto, quali sono le sue fonti e quali altre cose si dicono e scrivono sullo stesso fatto». E poi c’è la spalla destra dei giornalisti italiani, ovvero Wikipedia, uno strumento utile ma che non tutti sanno ben adoperare. Come Studio Aperto, che nel 2008, citando un dato dell’enciclopedia online, disse che “La Sapienza” era ultima nella classifica mondiale delle università. Salvo poi scoprire che l’università romana era centesima su cinquecento atenei e prima tra le italiane; ma Wikipedia elencava solo le prime cento posizioni.
Né Wikipedia, né le bufale oltreoceano possono però tenere a bada la creatività dei giornalisti italiani. Come il caso di Elena Ferrante, il nome usato da un autore pubblicamente ignoto per firmare una serie di romanzi molto apprezzati e, tra l’altro, candidato quest’anno al premio letterario Strega. Nonostante i giornalisti non potessero raccogliere sue dichiarazioni o interviste il quotidiano napoletano “Il Mattino” pubblicò un estesa lettera firmata da “Elena Ferrante” dichiarando che quella busta era stata recapitata in redazione, il pomeriggio. «Naturalmente – spiega Sofri – l’editore ci mise poco a segnalare pubblicamente (e un po’ seccato) che la lettera era un falso e non aveva a che fare la vera Elena Ferrante».
Tra improbabili statistiche che ci dicono che gli analfabeti in Italia sono oltre sei milioni, che le bambine sono sempre più aggressive dei maschietti e che l’house music può causare impotenza, il libro di Sofri ci mette davanti ad un giornalismo italiano che troppo spesso spaccia per notizie ciò che non è vero. Come comportarci dunque? «Dobbiamo imparare a cavarcela muovendoci con diffidenza – dice l’autore – e sapendo che dovremo arrangiarci, se vogliamo capire cosa sia vero e cosa sia falso, in un mondo in cui c’è un sacco di falso, ben stampato. Divertente».