Lo scorso 5 Agosto con 29 voti favorevoli su 38 la Commissione parlamentare di vigilanza Rai ha dato via libera alla nomina di Monica Maggioni come neo-presidente della tv pubblica italiana. Concordi con il nome della giornalista milanese anche l’assemblea degli azionisti e il consiglio di amministrazione. Insoddisfatti invece alcuni schieramenti di opposizione al Governo. Al di là, però, di come si sia giunti a questo nome, la presidenza di Monica Maggioni si prospetta diversa dalle altre. Monica Maggioni, dal 2013 direttrice del canale informativo RaiNews24, è stata definita da molti addetti ai lavori una “giornalista coraggiosa”. Basti scorrere brevemente il suo curriculum. Dopo la formazione universitaria milanese e il master in giornalismo di Perugia inizia la sua carriera in Rai lavorando ad Euronews, accedendo, poco dopo, alla redazione esteri del Tg1. Qui viene conosciuta dal grande pubblico come cronista inviata di guerra in Iraq e Afghanistan, unica giornalista “embedded” a seguito delle truppe Usa. Tra i diversi riconoscimenti ottenuti per la carriera giornalistica, nel 2012 è insignita del premio Biagio Agnes per i suoi reportage realizzati nei teatri di guerra.
Una giornalista che non teme scelte radicali come quella dello scorso 25 Febbraio quando, con un video-editoriale, annuncia che RaiNews24 non avrebbe più trasmesso i video resi pubblici dal’Isis, dando ai telespettatori la possibilità di fruire soltanto di alcuni fotogrammi. Per molti network televisivi e testate italiane la scelta di Maggioni è stata definita “censoria” e lesiva del diritto di cronaca proprio del giornalismo. A Maggio 2015 pubblica il libro “Terrore Mediatico” (Laterza, 2015) dove, motivando quella scelta, racconta le ore drammatiche dell’attentato parigino a Charlie Hebdo. Ed è proprio in queste pagine che la neo-presidente descrive il suo modo di fare giornalismo mettendo in luce le criticità del sistema informativo italiano.
Il giornalismo non può evitare di compiere scelte assumendosi chiare responsabilità, dice Maggioni. «Di fronte ai filmati hollywoodiani della casa di produzione del terrore, con sede a Raqqa, decidere di spezzarne la studiata continuità, vanificarne la forza del montaggio, rendere nullo l’impatto della grafica accattivante, della costruzione della storia, e finanche scegliere di negare il diritto all’esistenza di taluni passaggi, è fare i giornalisti niente più. È assumersi la responsabilità del racconto esattamente come avviene tutti i giorni, in ogni redazione del mondo, in ogni istante. Non è censura, come qualcuno pretende. E’ scelta. Ogni passaggio del nostro lavoro implica una scelta, di cui prima o poi dovremmo forse decidere di assumerci la responsabilità. Dovremo forse ammettere, una volta per tutte, che non esiste una relazione causa/effetto tra fatti e notizie, nessun determinismo. Lo sappiamo benissimo».
Monica Maggioni è convinta che il giornalismo non può essere obiettivo e chi fa il giornalista non è neutro. «È una scelta girare la telecamera verso la folla o sul dettaglio del volto del potente che tiene il comizio. È una scelta titolare sul crollo di un argine del Po, o sulla siccità in California. O ancora sulla fabbrica cinese in cui non si contano i suicidi. È una scelta mettere una notizia in prima o in quindicesima pagina. Aggiungere una foto o toglierla. E persino mettere una foto in cui il soggetto del nostro racconto è illuminato da una luce orribile, fa una smorfia, o risplende come un eroe. Il nostro non è un lavoro neutro. Ci piaccia o no, è quanto di più distante dall’obiettività si possa immaginare».
Uscire dalla retorica della neutralità non vuol dire, però, manipolare i fatti. «Non sto parlando del gioco sporco, della manovra truffaldina di chi altera gli eventi, le notizie, di chi costruisce in montaggio quello che non è mai accaduto. Sto solo parlando dello sguardo sulla realtà che ognuno di noi ha e si traduce in una scelta. Cominciamo a scegliere il primo giorno che diventiamo reporter. Lo facciamo scrivendo aggettivi, allungando dirette, enfatizzando le parole, alzando o abbassando gli effetti dell’audio. Scrivendo l’occhiello, togliendo il catenaccio. Entrando a raccontare in una via e non in un’altra. Rimanendo un’ora in un villaggio e tre in quell’altro. Usciamo dalla retorica di una neutralità che non esiste e forse non è mai esistita, se non nella teoria».
Da queste parole traspaiono coraggio e audacia conquistati in anni di esperienza sul campo: principi e valori che auspichiamo diventino una priorità anche in questi anni di presidenza. A ciò si affiancherebbe il progetto – già lanciato mesi fa dall’ex direttore generale Gubitosi – di accorpare in un’unica newsroom tutte le testate giornalistiche Rai, espandendo la copertura informativa. Mutamenti che permetterebbero al servizio pubblico di puntare su più qualità e credibilità. La riforma della Rai potrebbe partire proprio da qui.