Ogni anno il cibo sprecato negli Stati Uniti sfamerebbe 2 milioni di persone. Ogni anno nel mondo se ne sprecano 1,3 miliardi di tonnellate, pari a 1/3 della produzione totale destinata al consumo umano. Sono solo alcuni dei dati emersi durante la conferenza “C’era una volta il ueist (food)” tenuta da Massimo Melpignano, avvocato e divulgatore finanziario e Antonio Cajelli, educatore finanziario. Il luogo? Expo 2015, Casa Don Bosco. Location non casuale per una tematica come quella del cibo sprecato, inserito nel più ampio dibattito del convegno “Il mondo in cui crediamo: ecologia finanziaria e nuove forme di sviluppo”. Nel padiglione salesiano per ricordare al mondo che educare nutre il pianeta e che i giovani restano i protagonisti del futuro di un mondo calpestato, sfruttato, maltrattato, ma fortunatamente per noi, ancora in piedi. Nel 2015 contiamo 7,3 miliardi di persone, ma diventeranno 10 nel 2050. Il dato crescerà ancora e le risorse saranno sempre più scarse: per questo l’urgenza di trovare soluzioni ecologiche che diano risposte nell’immediato.
Ci ha provato “C’era una volta il ueist (food)”, titolo che per gli amanti del western rimanda subito al celebre film di Sergio Leone, capolavoro che racconta la fine di un’epoca, quella dei pistoleri e aggiungiamo noi, di soprusi sociali e disuguaglianze. E’ questo il messaggio di speranza lanciato da Melpignano e Cajelli, in uno show che ruota intorno all’educazione ecologica e finanziaria, associata ad una informazione che vuole renderci consapevoli sui prodotti che acquistiamo e sul ruolo che da consumatori possiamo avere. Perché “Ogni volta che spendiamo votiamo” come ci ricorda Melpignano. L’avvocato e Cajelli, un ex impiegato di banca “convertito”, raccontano in maniera ironica e divertente il modello attuale, definito “di sottosviluppo”, in cui pochi possiedono la grande maggioranza della ricchezza e in tanti soffrono la fame. Una conferenza spettacolo, in cui Melpignano interpreta un altro sé che informa per risvegliare le coscienze e un “consumatore tipo”, Cajelli, che finge di avere sotto controllo un mondo che in realtà lo inganna. Dalla tipica espressione “Si vede che questa frutta è di giornata” all’indispettito “Io so quello che mangio”, il consumatore inconsapevole si districa in un immaginario supermercato, acquisendo via via, grazie alla guida e alla sapienza del maestro, una coscienza critica. Non mancano le battute irriverenti, come: “Ma lo sai che lo spreco alimentare è il lato B dell’educazione finanziaria?”. Risposta: “Il lato B? Interessante…” Il messaggio però è chiaro: “Stanno giocando con il nostro cervello, con la sua parte più istintiva”.
Così, dopo il marketing sensoriale, si parla di scelte emotive ed evocative. Il tutto accompagnato da risate e divertenti battute, ma non finisce qui. I colori, la disposizione degli oggetti nel supermercato, il ripercorrere azioni che ogni giorno compiamo quasi senza accorgercene: fare la lista della spesa e comprare tutt’altro, ad esempio. C’è informazione, oltre allo spettacolo e il pubblico sorride e riflette. Il made in Italy è la via, ma non per patriottismo, quanto più per inquinare meno e mangiare meglio. Come individuarlo? Innanzitutto leggendo le etichette, poi consumando prodotti cresciuti e lavorati nel nostro Paese, la patria di una dieta mediterranea giudicata patrimonio culturale dell’umanità.
Il superfluo, quello che avanza, è spreco e mancanza di rispetto verso i diritti fondamentali dell’uomo, perché gran parte dell’umanità di cibo non ne ha a sufficienza. Del resto l’avvocato ci ricorda come non ci siano leggi che puniscano il fatto, ma basterebbe solo la cara vecchia Costituzione. L’articolo 2 ad esempio spiega come “La Repubblica […] richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale” giusto per citarne qualcuno. Il 47 richiama invece ad un trinomio fondamentale: “Terra, casa, lavoro”, perché l’equa distribuzione non è solo un dovere morale, ma un impegno che ognuno di noi ha sottoscritto dalla nascita. C’era una volta il cibo sprecato e speriamo non ci sia più. Expo2015 servirà anche a ricordarci che non possiamo più permettercelo.