È passato un mese dalla chiusura della XIV Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei vescovi sulla
famiglia, tenutasi dal 4 al 25 ottobre 2015 a Roma, ma quell’esperienza non va sottovalutata, né dimenticata. Abbiamo incontrato don
Aimable Musoni, professore di Teologia sistematica all’Università Pontificia Salesiana.
Don Aimable è consultore della segretaria generale del Sinodo per il triennio 2015-2018 ed ha partecipato alla preparazione di questo Sinodo sulla famiglia, contribuendo ad elaborare – in una apposita commissione – l’Instrumentum laboris. Ha poi partecipato ai lavori del Sinodo stesso.
Lei è stato uno dei
partecipanti al Sinodo dei vescovi sulla famiglia. Che sentimento ha provato quando
ha ricevuto l’invito da papa Francesco a partecipare a questo incontro così importante?
«
Per me è stata una grande gioia
perché è un’opportunità unica per potere conoscere la situazione della famiglia
oggi nella Chiesa cattolica e universale, ed anche per poter essere presente ad
un Sinodo di vescovi: una grande esperienza di sinodalità, cioè di cammino
insieme di tutta la Chiesa che si interroga e riflette alla luce della Parola
di Dio. Per me è stata una grazia, una possibilità unica per conoscere da
vicino alcuni pastori, responsabili della Chiesa, che accompagnano il suo
cammino nel terzo millennio».
Qual è il contributo
delle Chiese africane al Sinodo?
«
Le Chiese africane, con i loro
pastori africani, hanno certamente portato sensibilità e apertura alla Chiesa
universale. Come si sa, la situazione della famiglia è diversa secondo le aree
geografiche e i contesti culturali del mondo. In Africa sappiamo che la
famiglia è in prima linea, e proprio l’Assemblea speciale del Sinodo dei vescovi
dell’Africa nel 1994 aveva considerato la Chiesa come “famiglia di Dio”. Questa
convinzione si radicava anche nell’esperienza socio-culturale e antropologica
dell’Africa, dove ogni individuo appartiene ad una famiglia. C’è una specie di
primato della famiglia sull’individuo e questo modo di comprendere la famiglia
arricchisce certamente la realtà ecclesiale del mondo. I pastori africani hanno voluto considerare le
difficoltà insieme con le sfide e soprattutto le gioie nella situazione della
famiglia in Africa. Oggi si sottolinea in modo particolare la questione
dell’amore tra gli sposi, della famiglia che in Africa genera ancora figli,
però i pastori hanno anche ricordato la questione della poligamia, che tocca la
famiglia in alcune nazioni africane, ma è difficilmente conciliabile con la
fede cristiana. E poi, come si sa, le città in Africa soffrono difficoltà notevoli
che riguardano lo scioglimento facile dell’unione matrimoniale, i divorzi, la
precarietà, la povertà, la fame, le guerre che distruggono le famiglie; e poi i
migranti, i rifugiati, le tante famiglie divise per vari motivi, soprattutto
socio-economici e di guerra. I nostri pastori si sono fatti carico di dare voce
a tante di queste situazioni, anche per interpellare la Chiesa universale a
riguardo».
C’è un aspetto del documento finale che vorrebbe sottolineare?
«
Il
documento finale che è stato pubblicato con il permesso del papa Francesco contiene
tre parti. La prima è intitolata “La Chiesa in ascolto della famiglia”, la
seconda è “La famiglia nel piano di Dio” e la terza parte considera “La
missione della famiglia”.
Nella prima parte viene presentata
la famiglia e il contesto antropologico-culturale, sociale e del dialogo ecumenico
e interreligioso; la famiglia e la sua inclusione nella società; la famiglia,
l’affettività e la vita. Soprattutto qui si evidenziano le sfide che
attanagliano la famiglia oggi.
Nella seconda parte si considera la
famiglia nel progetto di Dio e si cerca di rileggere, alla luce della fede,
quale sia la sua identità nella storia della salvezza e nel Magistero della Chiesa.
Al termine di questa parte ci si interroga sulla pienezza ecclesiale della
famiglia.
L’altra parte del documento riguarda
la missione della Chiesa. Si sofferma su un capitolo importante che riguarda la
formazione della famiglia, la questione della generatività e l’educazione nella
famiglia. Una questione affrontata chiaramente è l’accompagnamento pastorale,
soprattutto nelle situazioni complesse in cui si cerca, nel discernimento, una
possibile integrazione, più o meno piena, nella realtà ecclesiale. L’ultimo
punto riguarda la famiglia e l’evangelizzazione e su questo mi piace
sottolineare quanto si sia evidenziata la spiritualità famigliare e il fatto che
la famiglia sia e debba essere soggetto della pastorale e dell’evangelizzazione
oggi. Così si pone nel magistero attuale di papa Francesco che insiste su
misericordia e tenerezza e ci invita a tenere conto di queste due virtù
pastorali quando consideriamo la realtà della famiglia odierna».
Le sue impressioni dopo avere
vissuto questa esperienza di Chiesa?
«Le mie impressioni sono positive,
anche se ci sono state discussioni vivaci, a volte con opinioni diverse tra
vescovi e cardinali, però allo stesso tempo ciò che trovo molto positivo è che
papa Francesco ci abbia permesso una discussione aperta. Egli usa spesso la
parola parresia, questa franchezza
nello scambio, nel dialogo e proprio da qui scaturisce la verità e si può
sapere quale cammino intraprendere alla luce della fede, per illuminare la
situazione della famiglia oggi, quale soggetto dell’evangelizzazione. Quindi
questo tempo deve essere proprio un’occasione di rilancio della famiglia nella
sua partecipazione, nel suo ruolo di edificazione della Chiesa, la famiglia in
quanto “Chiesa domestica” e “piccola Chiesa”».
Qual è l’impatto del Sinodo sulla
vita delle famiglie?
«È ovviamente limitato, tenendo conto del fatto che il Sinodo
non è un organo deliberativo, che decide, ma piuttosto un organo consultivo che
propone orientamenti al santo Padre, il quale deciderà sul da farsi.
Probabilmente, partendo dall’esperienza
passata, possiamo pensare che pubblicherà un’esortazione apostolica post-sinodale,
proprio partendo da considerazioni e orientamenti consegnatigli dai padri
sinodali. Intanto, attendendo che papa Francesco pubblichi un documento, credo si
possa dire che il risultato di questo Sinodo è di aver invitato tutti i membri
della Chiesa, compresi i fedeli laici, a guardare, con misericordia e tenerezza,
soprattutto le situazioni problematiche e complesse, a non giudicare ed anche a
concepire una specie di “pastorale inclusiva”, che non esclude nessun ognuno,
nella sua situazione, possa trovare il suo posto nella Chiesa! Ovviamente si
tratta di un’integrazione, di una partecipazione differenziata a partire dallo
stato di ognuno, pero è un invito rivolto a tutti. Così c’è la gioia della
famiglia, che è sempre la cellula – base della Chiesa».
C’è qualche novità dal Sinodo sulle
questioni problematiche?
«Riguardo alle novità, direi che non
sono cose eccezionali, però c’è una sottolineatura nuova, una bella sensibilità
verso l’accoglienza di tutti, questa “pastorale inclusiva” di tutti, anche
delle famiglie in difficoltà. Penso che qui possiamo trovare un’accentuazione
diversa rispetto a prima. In alcuni paragrafi dell’ultima parte si va oltre…
viene proposto di affidare dei ruoli nella liturgia, nella pastorale, nella
vita della Chiesa, anche alle famiglie irregolari o in difficoltà. Questo è un
aspetto che finora sembrava piuttosto limitato.
Posso dare un esempio concreto. Nel
Sinodo si suggeriva di dare l’opportunità a famiglie con difficoltà, separate,
a coppie di divorziati e risposati, di essere – ad esempio – padrini e madrine,
fatto di solito non permesso precedentemente. Però è vero che anche queste
persone hanno il compito di educare alla fede, e i padri sinodali hanno proposto
per loro questa nuova possibilità d’integrazione. Non dimentichiamo anche la
questione degli omosessuali che non è stata molto approfondita, però la Chiesa
ha chiesto non solo di non avere pregiudizi e giudizi negativi, ma anche di mostrarsi
accoglienti nelle comunità cristiane, specialmente là dove queste persone si
sentano chiamate a partecipare alla vita ecclesiale. Ovviamente dare nuove
possibilità in queste situazioni complesse deve essere inteso come un invito
adun cammino di conversione e di
penitenza».
È soddisfatto dei lavori del Sinodo?
«Come ho detto prima, penso che il Sinodo
abbia affrontato problematiche difficili e forse non avrà dato tutte le
risposte che forse alcune persone si aspettavano dall’esterno e come tanti
giornalisti avevano forse sperato. Anche le aspettative erano molte, però io
sono soddisfatto di ciò che è stato realizzato, soprattutto del clima dell’approccio
pastorale che va nel senso dell’orientamento di papa Francesco, che non vuole giudicare, ma
accogliere tutti. Questa prossimità inclusiva mi sembra un risultato importante
a prescindere dai documenti che saranno pubblicati in seguit questo dovrebbe perciò
cambiare la mentalità di tutti noi verso l’accoglienza e l’integrazione di chiunque
nella vita della Chiesa, che non può escludere nessuno».
Un’ultima parola
«
Partecipare al Sinodo è stata una grazia,
un’opportunità per tuffarmi nella Chiesa universale che riflette sulla famiglia
e che cerca via di uscita e di illuminazione della realtà familiare, perché questa
sia protagonista e cellula della nuova evangelizzazione. Questo per me è stato
importante ed è necessario oggi: che la famiglia sia “chiesa domestica” e possa
testimoniare Cristo nella complessa realtà odierna».