Bella parola “ripensare”. Significa sostanzialmente tre cose:
pensare di nuovo; pensare diversamente; rievocare, richiamare alla mente. Tutti
significati spesso presenti nella mente umana e interagenti. Ancor più utili
per una sede che ha il compito di formare i comunicatori.
Lo sottolinea Maria Antonia Chinello nel suo saggio contenuto
nel volume presentato il 15 dicembre “Ripensare la Comunicazione. Le Teorie, le
Tecniche, le Didattiche”, curato da Fabio Pasqualetti (LAS-ROMA, pp 346, Euro
24), che raccoglie gli atti del convegno della Facoltà di Scienze della
Comunicazione sociale dell’Università Pontificia Salesiana, svoltosi il 14-15
novembre 2014, per festeggiare il 25° di fondazione della Facoltà.
Una riflessione a più voci e in più momenti, articolata e
approfondita, con un obiettivo preciso: stimolare il mondo della comunicazione
– dice Pasqualetti nel suo primo saggio – a un’analisi associata alla
responsabilità, proprio «perché i media sono sistemi complessi e la
comunicazione oggi percorre trasversalmente ogni ambito disciplinare e
dell’esistenza umana. L’educazione ad una comunicazione responsabile, che tenga
contro del rispetto delle persone e del bene comune, esercitata all’interno del
mondo regolato da logiche di mercato, non è la cosa più facile da proporre,
insegnare, praticare».
Per questo va perseguita con forza, passione e competenza. In
un periodo della storia critico per molti versi, ma soprattutto in cui la
dimensione comunicativa è tanto intensamente presente da far parlare di
eccessi, di sovrabbondanza, e quindi di effetti perversi e distorcenti della
realtà.
Ad un’analisi corretta può dunque servire anche questo libro
che – nella tradizione compilativa di Atti potrebbe erroneamente far pensare ad
un percorso chiuso e finito del dibattito – e che, invece, con questi testi
apre a molteplici spunti di approfondimento che sarebbe il caso riprendere
anche in altre occasioni. (Azzardo: perché non anche qui su questo sito?). Ne indico
solo alcuni, a mio avviso importanti, tra i molti presenti nei saggi dei
relatori al Convegno; ma i lettori del volume potrebbero fare altrettanto e
aprire altri fronti di dibattito.
Lo spunto di Maria Antonia Chinello che individua tre
percorsi per ri-agire la comunicazione (quindi non una mera conseguenza di
input-output, ma una vera costruzione della persona e delle sue relazioni
sociali): la buona reciprocità, la parola disarmata per fermare la violenza,
l’agire comunicativo nell’ecumene della Mediapolis. Molto interessanti. Aggiungo:
sarebbe opportuno riflettere anche su quale ruolo giocano, volenti o nolenti,
oggi istituzioni sempre più screditate nella costruzione di questa Mediapolis.
Poi c’è la provocazione di Pier Cesare Rivoltella, che indica
quattro dimensioni che ci chiamano a metterci in gioco: Informativa,
Relazionale, Esplorativa; Partecipativa; tutte necessarie per favorire la
capacità di comprendere e vivere la realtà, ma con non poche controindicazioni.
Ad esempio, la quarta, nella società della net-communications (con l’esplosione
dei social), vede una banalizzazione della partecipazione fatta di semplici
“like”, “mi piace”, e campagne sociali on-line. Mi chiedo: ma siamo proprio
sicuri che quando questi strumenti non c’erano la partecipazione nelle vecchie
sedi di partito consentisse una maggior coscienza della cittadinanza? E
veramente i click finiscono per “coinvolgere poco”? Dal numero di giovani
volontari e impegnati nei più diversi servizi, non si direbbe. Cambiano le
forme della partecipazione, certo, ma questo è un altro discorso…
Dal saggio di Franco Lever viene l’invito prezioso a non
fermarsi all’etimologia del termine “comunicazione”, cambiata centinaia di
volte nel tempo e sempre connessa all’attualità del contesto in cui viene
applicata. Quindi l’obbligo, per tutti quelli che in qualche modo “masticano”
questa parola, a ri-pensarla prendendo coscienza “di un compito così urgente e
decisivo da rendere necessaria la collaborazione più aperta”: Invito
interessante, provocazione raccolta.
Infine le conclusioni dell’articolo del direttore del
Dipartimento di Comunicazione e Ricerca sociale della Sapienza di Roma, Mario
Morcellini: riconoscendo la lungimiranza dell’Università salesiana che 26 anni
fa ha istituito questo corso di Laurea, molto prima che altre realtà statali lo
facessero, il professore afferma: «torna il tempo in cui ridiventa decisivo
sperare di nuovo nelle potenzialità delle persone e dunque credere nella Scuola
e nell’Università. È la svolta di un’antropologia nuova, finalmente capace di
distinguersi dagli idola fori
alimentati dai teatrini della comunicazione. Ma questa svolta ci sarà solo se
noi ci crediamo… Dipende innanzitutto da noi». Sinceramente: siamo in tanti a
crederci?
Questo libro, frutto di una riflessione di due giorni ma che
non nasce né tantomeno finisce lì, mostra che c’è chi ci crede davvero.
Le quattro sessioni parallele dopo la tavola rotonda
(“Didattica e comunicazione. Un rapporto fertile ma complesso”, di Pier
Giuseppe Rossi; “Media, tablet e smartphone. Come utilizzarli dentro e fuori la
scuola, di Davide Parmeggiani; “Comunicare la Chiesa nella rete: principi
formativi e linee di azione”, di Daniel Arasa; “Presenza e utilizzo delle nuove
tecnologie e d’internet nel mondo ecclesiale”, di Rita Marchetti), nonché le
altre parti che arricchiscono il testo (i documenti prodotti in occasione del
Dottorato in Honoris Causa al portavoce vaticano padre Federico Lombardi sj; La
storia e gli strumenti della Facoltà, compresi il Vademecum e la Guida al
Progetto di tesi), testimoniano come chi l’ha curato ha a cuore il percorso
formativo più di ogni altra cosa.
Con un filo conduttore ben preciso, un modello di pensiero,
che anima l’analisi e la conoscenza dei linguaggi della comunicazione:
sottolinea Pasqualetti, “Educare al pensiero critico”. Che, soprattutto, vuol
dire «mettere in discussione le proprie certezze, sapendosi confrontare con
quelle degli altri, operando sempre, però, nell’orizzonte del rispetto della
persona e del bene comune… vuol dire aver anche il coraggio di denunciare i
sistemi e i linguaggi che creano povertà, discriminazione, razzismo,
emarginazione nei confronti dei più deboli degli indifesi e di coloro che non
hanno voce».
E questo, chi mette piede oltre i cancelli di Piazza
dell’Ateneo Salesiano 1, lo sa bene, e lo percepisce con forza di anno in anno.