22 Dic 2015

Turchia, la stampa chiede aiuto all’Europa

La Turchia si avvicina all'Europa dopo l'accordo sui profughi, ma molte libertà individuali continuano ad essere a rischio. Nel 2015 sono finiti in carcere 14 giornalisti, il doppio rispetto all'anno precedente

Giornalismo cane da guardia della democrazia, ma se morde ecco pronta la museruola. La libertà di stampa è a rischio in molti Paesi del mondo e solo nel 2015 sono stati incarcerati 199 professionisti dell’informazione. Un bilancio allarmante soprattutto perché la maggior parte (122 su 199) arrivano da pochi paesi: in ordine Cina, Egitto, Iran, Turchia, Arabia Saudita e Siria. Secondo quanto emerge dal rapporto 2015 del CPJ (Committe to Protect Journalists), la Ong che dal 1981 denuncia la mancata libertà di stampa in tutto il mondo, in Turchia il fenomeno è cresciuto del 100%: dai 7 arresti del 2014 alle 14 reclusioni dell’anno attuale. Il Paese è al 149° posto su 180 nella classifica della libertà di stampa nel mondo.

Il governo di Recep Tayyip Erdogan ha subito un forte scandalo mediatico a livello internazionale dopo l’arresto dei giornalisti del quotidiano di opposizione Cumhuriyet: Can Dundar, direttore ed Erdem Gul, caporedattore della sezione di Ankara. I due sono finiti in manette dopo un’inchiesta, corredata di foto e video, che accusava il governo di aiutare i jihadisti dell’Isis in Siria con armi e munizioni nascoste sotto gli aiuti umanitari che venivano caricati sui camion del Mit, l’intelligence turca. “Pagherà un prezzo alto per questo” aveva tuonato il presidente Erdogan puntando il dito su Dundar. Poco dopo il cronista è stato incarcerato insieme al collega con l’accusa di spionaggio, un crimine molto grave in Turchia.

Nel frattempo il Paese ha accelerato i tempi per la pratica che potrebbe vederlo presto dentro l’Unione Europea. La questione sta particolarmente a cuore ai turchi e andrebbe a concludere un percorso che il governo ha aperto dagli anni ’60 (nel 1963 il Trattato di Ankara con la Comunità Economica Europea), con la richiesta di entrata nell’Unione del 2005. Il primo ministro Ahmet Davutoglu si è detto ottimista, ma sulla penisola anatolica pesano i tanti dubbi che i Paesi europei hanno sulle limitazioni delle libertà individuali. Inaccettabili per una Europa fondata sui diritti umani. Erdogan, secondo i membri dell’opposizione si è reso protagonista di una campagna di “demolizione della libertà di stampa”, un progetto che pare confermato dalla dura e violenta repressione messa in atto durante le proteste dell’estate 2013, iniziata dall’assalto ai manifestanti di Gezi park, a Istanbul. Durante le proteste redazioni di quotidiani e tv indipendenti o vicine all’opposizione furono messe a ferro e fuoco, con alcuni cronisti arrestati per aver mostrato al mondo la reazione della polizia durante le manifestazioni contro il governo. Alla vigilia delle elezioni del 1 novembre scorso, Millet e Kanalturk hanno subito incursioni violente da parte delle forze dell’ordine nelle proprie redazioni con gas lacrimogeni e manganelli.

Nonostante la stampa in turchia sia minacciata nella sua libertà espressiva, i rapporti tra Ankara e l’Europa continuano, tanto che Bruxelles ha stabilito fondi per 3 miliardi di euro alla Turchia purché controlli i profughi provenienti dalla Siria. Proprio durante il vertice del 29 novembre Dundar e Gul, i cronisti arrestati per l’inchiesta sull’Isis, hanno fatto recapitare ai 28 ministri degli Esteri dei Paesi una lettera che ricordava loro la grave minaccia in atto per la stampa turca e allo stesso tempo lo scarso lavoro della magistratura verso una risoluzione del problema. Questione che si somma ad altre che il Paese dovrà risolvere prima di entrare pienamente nell’Ue.

Dallo scandalo che ha coinvolto l’80% dei ministri del suo esecutivo, fino ai dati allarmanti sulle spose bambine (181 mila negli ultimi 3 anni) e al vero ruolo di Ankara nella lotta al terrorismo. Il caso di Cipro poi, con l’invasione della parte nord dell’isola in atto dal 1974, crea ancora polemiche e dubbi sulla politica estera, in bilico come non mai dopo la crisi con la Russia. Erdogan da tempo combatte contro Putin una guerra fredda che si disputa su due piani: la questione del gas e il Medio Oriente. L’Europa vuole vederci chiaro, mentre molti giornalisti turchi, anche in questo caso, sono costretti a chiudere entrambi gli occhi.

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