«I miei studenti non hanno dubbi: alla base della Chiesa c’è la fede. Nessuno di loro invece sarebbe disposto a credere che vale anche la frase rovesciata: alla base della fede c’è la Chiesa. Eppure la teologia riconosce vere, da tempo, ambedue le frasi». Come dunque parlare di Dio con le nuove generazioni, come trasmettere la fede ai giovani, che non vogliono sentrsi imporre obblighi, che vivono tutto in modo emotivo, che guardano il mondo attraverso gli occhiali dei social network?
Gilberto Borghi insegna religione da molti anni, ma è anche un pedagogista clinico, scrive sul blog collettivo Vinonuovo.it e ha pubblicato vari libri. L’ultimo è “Un Dio fuori mercato” (Ed. Dehoniane 2015). Al centro della sua riflessione c’è il tema dei giovani e della fede, che continua anche in questo volume.
La buona notizia è che Borghi è ottimista: vivendo ogni giorno a stretto contatto con i ragazzi, ne vede le difficoltà, le povertà. Ma ne legge soprattutto la vitalità, le potenzialità, la ricchezza del modo di sentire. La brutta notizia, per chi ha ruoli educativi – in famiglia, in parrocchia, a scuola, ovunque – è che il problema non è loro, ma degli adulti. Sono gli adulti che non sanno rinnovare i propri linguaggi, è la Chiesa che non sa essere invitante, sono coloro che dovrebbero testimoniare la fede che non sanno essere credibili. E non riescono a individuare gli spazi e i tempi giusti per la loro vita, che non possono più coincidere con quelli istituzionalizzati dalla tradizione. Gli spazi e i tempi adatti a questa generazione che, sintetizza Borghi, «piuttosto che “prendere il largo”, preferisce “fare il surf” sulla vita».
Ci si avvicina alla fede se si incontrano persone e comunità che quella fede la vivono in modo autentico. I ragazzi intuiscono subito se non c’è questa autenticità. In fondo, è Dio che converte: compito dei credenti e delle comunità è proporre esperienze all’interno delle quali si renda possibile l’incontro. Serve insomma «un passaggio da una fede di cultura a una fede di esperienza». Il modello non è più Charlie Brown («un gran testone, molta riflessione, ma anche molta indecisione e soprattutto una vita emotiva e sociale poco fluida») ma Burt Simpson («l’approccio con la realtà qui è istitntivo, di pancia. E in genere, meno la testa interferisce, meglio è»).
La chiave per comunicare con i giovani di oggi è quindi parlare il linguaggio dei sentimenti, che sono una cosa molto più seria di quel che spesso gli adulti pensano, e valorizzare la corporeità. In fondo, nel Vangelo, «Gesù, per ben 37 volte, può aprire il cuore alla fede di una persona solo dopo averle lasciato un segno potente nella dimensione fisico corporea (guarigioni, resurrezioni, liberazioni fisiche dal demonio). Mentre non esiste nessun caso, nel Vangelo, in cui la fede in Gesù sia nata per convinzione sul piano razionale».
E poi, la via della razionalità ci porta a vivere la fede come “patto” tra Dio e gli uomini. Invece la logica di Dio è quella della gratuità: Dio ci ama gratis, ci cerca prima che noi siamo pronti incontrarlo, è lì per rispondere al nostro desiderio di una vita piena. Non ci obbliga ad amarlo, perché l’amore non sopporta obblighi. I giovani sentono il profumo della gratuità da lontano, e ne sono attratti.
Facile a dirsi, meno a farsi. Per questo vale la pena leggere “Un Dio fuori mercato”, che approfondisce questi non facili temi in un modo interessante: partendo dalle domande e dalle discussioni dei ragazzi in classe, che offrono un punto di partenza concreto e, soprattutto vivo.
—————————-
Gilberto Borghi
“Un Dio fuori mercato”
Ed. Dehoniane 2015
pp. 2016, € 16,00