18 Apr 2016

Sport e disabilità: un esempio di inclusione sociale

Dal concetto di "difetto" a quello di "risorsa": il convegno "Lo sport è di tutti, lo sport è per tutti" conferma l'importanza medica e sociale dell'attività fisica per i diversamente abili

“Lo sport è di tutti” recita lo slogan televisivo che ci accompagnerà verso le Olimpiadi di Rio de Janeiro di questa estate. Ma lo sport è anche “per tutti” e può aiutarci a comprendere meglio il mondo delle disabilità, senza alcun tipo di discriminazione. Se ne è parlato al convegno svolto a Roma sabato 16 aprile, dal titolo “Lo sport è di tutti, lo sport è per tutti”, che attraverso l’esperienza di medici e pediatri e la testimonianza di professionisti dello sport paralimpico – tra cui il Ct della nazionale di ciclismo, Mario Valentini e l’atleta Nicole Orlando (vincitrice di 4 medaglie d’oro all’ultimo mondiale di atletica) – ha promosso la necessità e i benefici dell’attività fisica per persone diversamente abili.

Alessandro Palazzotti, stella d’oro al merito sportivo, ex presidente di Coni Lazio e attuale vice presidente di “Special Olympics Italia” ha spiegato come dal punto di vista sociale i vantaggi dello sport siano evidenti: come mezzo per superare limiti motori e psicologici, ma anche come strumento di integrazione sociale. Per un ragazzo disabile, condividere successi e sconfitte con gli altri è un’opportunità di crescita e di rafforzamento dei legami interpersonali, nonché di apertura sempre maggiore al mondo che lo circonda. E’ la cultura della “possibilità” che lo sport tende a promuovere: non è un’isola felice, ma una porta verso il territorio e la comunità, che aiuta nella piena inclusione e abbatte ogni tipo di barriera, fisica e intellettuale. In Italia – spiega Palazzotti – ci sono circa 1 milione e 300 mila persone con disabilità intellettiva. Più in generale, secondo dati Istat, nel nostro Paese 1 bambino ogni 200 presenta difficoltà in almeno una delle tre dimensioni della disabilità: sensoriale, mentale e fisica. Il fenomeno quindi non può essere circoscritto, ma va affrontato a livello nazionale.

Il mondo della medicina incentiva lo sport per i disabili. Le dottoresse Geremia e Cafiero, medici dell’ospedale Bambino Gesù di Roma, hanno illustrato le problematiche di un mondo variegato. A tanti tipi di disabilità corrispondono diversi approcci, con la necessità di valutare caso per caso la possibilità di praticare discipline sportive. In generale però è dimostrato scientificamente come, sia per i normodotati che per i disabili, l’attività fisica comporti benefici alla salute. Un dato lo conferma: secondo l’Istat, il 20% delle cause di morte di persone disabili con lesione al midollo, dipendono da fattori di rischio cardiovascolari (prima causa di decesso nella popolazione italiana), che lo sport aiuta a ridurre.

Il concetto di “disabilità” oggi è capovolto, grazie ai passi in avanti svolti dall’Organizzazione mondiale della sanità, che dichiara come “qualunque persona, in qualunque momento della vita può avere una condizione di salute che in un ambiente sfavorevole diventa disabilità”. Fa scuola il pensiero di Ludwig Guttman, neurologo tedesco, da molti considerato come il padre delle moderne paralimpiadi, secondo il quale la vera intuizione dell’uomo moderno sta nel comprendere la necessità di investire, curare e sviluppare le capacità residue dei pazienti, introducendo lo sport come parte fondamentale di questo percorso riabilitativo. Per dirla con le parole della dottoressa Michela Armando, fisiatra dell’ospedale Bambino Gesù di Roma “la necessità dell’abilitare, ossia passare da una diagnosi su cosa manca (semeiotica del difetto) ad una ricerca dei punti di forza del paziente (semeiotica delle risorse), analizzando le competenze del disabile e fornendogli formule e strategie per il loro utilizzo”.

E’ un’ottica personalizzante, che capovolge anche il concetto di salute: non più l’assenza di malattia, ma il benessere soggettivo, facendo leva sulla concezione che il paziente ha delle proprie condizioni. In questo lo sport assume un ruolo fondamentale, quello di conduzione verso il benessere, migliorando al tempo stesso il contesto sociale, come del resto spiega la “Carta europea dello sport per tutti”, datata 1984 ma ancora incredibilmente attuale: “l’accessibilità nella pratica sportiva da parte di utenti portatori di handicap diviene sempre più condizione indispensabile per fare dello sport un servizio ed un fenomeno rispondente alle attese della società”.

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