Secondo le statistiche del UNHCR, ogni giorno 440 persone sono uccise in un conflitto, 10 muoiono provando ad attraversare il mediteranno, 4600 scappano dalla loro terra, 89 civili sono uccisi da azioni terroristiche e 59 perdono la vita per colpa delle mine.Con questi numeri, ci sono quelli che riescono a sopravvivere a questi momenti di fatica, di paura e di estremo dolore. Chi riesce ad iniziare una nuova vita, spesso continua ad incontrare altre difficoltà al livello psicologico, le quali gli impediscono di vivere al meglio la sua vita presente. E spesso chi ha vissuto questi momenti di dolore, non si può permettere o non è al corrente che è possibile chiedere l’aiuto di uno specialista, un’assistenza nei momenti di crisi.
Per quelli che vivono queste situazioni e quelli che li stanno vicino, è una sfida continua capire come riuscire a stare bene o come aiutare l’altro a stare un po’ meglio nella sua lotta. Abbiamo chiesto a Don Gabriele Quinzi, psicologo e docente di Pastorale Familiare, come una persona, nonostante le difficoltà incontrate nella sua vita, può vivere sufficientemente bene senza magari ricorrere ad uno psicologo e fare un percorso d’aiuto. Il professore, partendo dalla prospettiva di chi aiuta, ha insistito per prima cosa sul rispetto del problema dell’altro, che per noi può sembrare anche banale. Ricordando le parole di papa Francesco: « bisogna inginocchiarsi davanti alla terra santa dell’altro, proprio perché non ci si può mettere totalmente al posto di questo».
Il secondo punto è che, se l’altro si comporta in un modo che ci può fare soffrire, dobbiamo sempre ricordarci che c’è sempre un motivo per il quale questa persona si comporta così. «Questo significa che noi come esseri umani abbiamo imparato delle strategie per sopravvivere. Strategie per sopportare il dolore, che appartengono solo a noi e questo comportamento magari fastidioso è la migliore strategia che uno ha trovato per non essere sopraffatti dalle cose negative. Quindi bisogna sempre rispettare il modo in cui qualcuno sta vivendo un dolore.» Nel momento in cui si decide di soccorrere una persona, secondo Quinzi, non bisogna rassicuralo troppo o proporre soluzioni, come spesso si fa, piuttosto bisogna cercare a tutti costi di mettersi al posto della persona: «Alla persona sofferente serve uno che l’ascolta veramente, uno che riesce a mettersi in ascolto delle sue emozioni, delle sue fatiche e dei suoi pensieri. Ci dobbiamo ricordare che le persone generalmente hanno le risorse per venire fuori dalle situazioni negative. E ascoltando nel modo giusto, la persona si sentirà accolto e troverà il coraggio di migliorare.»
Il professore ha ricordato l’importanza di trasmettere alla persona in difficoltà, la certezza che il proprio cambiamento non influisce in nessun modo al suo essere accettato: «Questo è essenziale per rafforzare l’autostima che molte volte, quando uno ha sofferto, è bassa, perché a volte si sente sfortunato e ha dei sentimenti molto negativi e allora qualcuno che lo aiuti gli deve fare sentire che è amato per quello che è.».Un altro elemento importante è che dobbiamo pensare a noi per primi e poi pensare a come possiamo aiutare anche le altre persone. «Capire e aiutare gli altri a capire che non siamo i controllori della nostra vita. Imparare che la vita è imprevedibile, che è piena di limiti, e noi siamo bravi se accettiamo questi limiti e non ci sforziamo di eliminarli a tutti costi. Le cose negative della vita non sono un destino, ma sono episodi che fanno parte della vita e uno può andare al di là di questi per fare fiorire la sua vita. Facendo, dei momenti brutti, delle possibilità di sviluppo.»
L’elemento essenziale per avvicinarsi alla persona sofferente, secondo Quinzi, è di credere nelle risorse umane per superare qualsiasi difficoltà, perché chi ci crede aiuta anche l’latra persona a crederci. Ricordandoci che non è detto che tutti troveranno subito la forza di vivere in maniera buona, perché magari si bloccheranno e soffriranno tantissimo. Il professore, ha usato la metafora della ferita profonda, che per tutta la vita ci lascia il segno, in modo che non possiamo dimenticarla e ogni tanto ci dà fastidio, perché la cicatrice è una parte della pelle che resta molto delicata. Cosi ha ricordato che allo stesso tempo, ci si può vivere benissimo, cn quella ferita: anche se vediamo la cicatrice, non c’è più dolore, non c’è più pericolo d’infezione. Questo per dirci «cosi è la vita, ci si può applicare a vivere bene, anche se ci sono stati delle episodi molto negativi. Dipende sempre dal contesto, dal modo in cui le persone riescano a ritrovare l’energia dentro di sé, da chi li aiuta, dalla propria storia personale, dalla propria mentalità, e dalle proprie emozioni.»
Dal punto di vista ecclesiale e da quello psicologico, Quinzi è convinto che le persone sono capaci di cambiare, con fatica a volte e con tempi imprevedibili: ha citato Don Bosco, sulla questione della mela marcia che, anche se considerata da buttare, ha sempre dentro di sé un semino che può produrre un’ altra vita, Don Gabriele Quinzi consiglia di non dare mai per distrutta una persona e di non smettere di credere alle sue capacità: «..questo vale anche per la persona stessa, che sta lottando per stare bene. Imparare a credere in se stessi è un obiettivo da raggiungere nella vita. Incontrare delle persone mature, che credono in loro stesse, nonostante i limiti che hanno dovuto superare, che riconoscono di avere delle risorse dentro di sé e trasmettono un senso di autoefficacia e di fiducia nelle persone che gli stanno accanto è di un grande aiuto in questo percorso verso una vita serena. Sempre incominciando sempre da stessi, sapendo che si può cambiare solo se stessi e non gli altri»