Nojoom, che
in yemenita significa “le stelle”, ha un destino segnato
fin dalla nascita: suo padre infatti la consegna alle regole non
scritte della convivenza nello Yemen, che comportano una totale
sudditanza delle femmine rispetto ai maschi. Quando Nojoom compie 10
anni il padre, in una negoziazione condotta solo fra uomini, la dà
in sposa a un uomo di quarant’anni.
Lo sposo promette al suocero di
prendersi cura della bambina e di aspettarne la pubertà prima di
consumare il matrimonio, ma appena sottratta alla casa del padre la
violenta e la costringe a servire la suocera, picchiandola quando la
bimba cerca di ribellarsi. Per fortuna Nojoom trova la via di fuga
dal villaggio arcaico in cui l’ha segregata il marito per recarsi al
tribunale di Sana’a, dove chiederà per sé il divorzio.
Questo
però è il lieto fine di un film di Khadija Al-Salami, “La sposa
bambina”, uscito il 12 maggio scorso e che vede come protagonista
Nojoom costretta a sposare un uomo molto più anziano di lei, ma
riuscirà a sfuggire ad un terribile destino.
Un destino tragico
invece è riservato a più di 700 milioni di donne che si sono
sposate prima di aver compiuto 15 anni. «L’Africa subsahariana ha
uno dei più alti tassi di matrimoni precoci al mondo, con il 40%
delle ragazze che si sposano prima del compimento dei 18 anni»,
ricorda Antonio
Marchesi,
Presidente della sezione Italia di Amnesty International. Marchesi è
impegnato per Amnesty International e per la Commissione europea come
valutatore e direttore di progetti contro la pena di morte e le
torture. Per Amnesty International ha svolto missioni negli Stati
Uniti, in Uganda, in Algeria e in Tunisia e, dal 1998, fa parte della
delegazione alla Conferenza istitutiva della Corte penale
internazionale. «Se
la tendenza attuale proseguirà» – continua Antonio Marchesi –
«entro il 2020 142 milioni di bambine si sposeranno prima di aver
compiuto 18 anni ed entro il 2030 il numero di bambine sposate prima
di aver raggiunto la maggiore età raggiungerà i 15 milioni l’anno».
I dati sono
allarmanti e coinvolgono tutti i Paesi più poveri del mondo, oltre
all’Africa i matrimoni forzati riguardano anche lo Yemen,
l’Afghanistan, l’India. In queste zone dimenticate, la povertà
estrema, il maschilismo e l’analfabetismo sono fusi a pratiche
arcaiche fondate su un vero e proprio dominio del maschio sulla
donna. «Al momento del parto, la nascita di una femmina fa scattare
automatico un accordo monetario tra il padre e un uomo. Al compimento
del settimo, massimo ottavo anno di età della bambina il contratto
di matrimonio avrà validità per le parti e si risolverà con il
pagamento della somma pattuita dai due uomini e la consegna
dell’oggetto, che però è in carne ed ossa».
Antonio Marchesi
continua affermando che «il matrimonio precoce è da considerarsi
una vera violenza, non solo fisica ma anche psicologica. Le bambine
vengono stuprate già la prima notte di nozze e muoiono per le
lacerazioni interne provocate dall’atto sessuale. La maggior parte
delle piccole spose preferisce uccidersi, piuttosto che condividere
il letto con il suo carnefice». Secondo le stime di Amnesty
International sono almeno 50 mila le bambine che ogni anno si tolgono
la vita in seguito ad abusi sessuali e di molte di loro si sono perse
addirittura le tracce.
È per
questo che Amnesty e altre organizzazioni umanitarie cercano di
educare sul posto, quindi nei villaggi, nelle tribù, non solo le
famiglie ma anche le bambine sui rischi che incorrono e i danni a
livello psico-fisico a cui sono destinate. «Solo insegnando alle
bambine il rispetto per sè stesse e con l’educazione scolastica
possiamo cercare di modificare quelle pratiche barbare di una società
culturalmente arretrata».
Un altro
problema riguarda l’impossibilità di denunciare gli abusi presso i
tribunali nazionali; infatti nello Yemen ad esempio la famiglia di
una ragazza che scappa e cerca aiuto presso la sua famiglia
d’origine, non può ospitarla o riaverla in casa, pena la
carcerazione di tutti i componenti. In alcuni casi è prevista anche
la pena di morte.
Il
panorama mondiale non offre scenari positivi, basti pensare che
l’inasprirsi dei conflitti ha dirette conseguenze proprio sulla
condizione delle bambine e delle ragazze, che vedono calpestati i
loro diritti fondamentali, già inesistenti. «Ogni 10 minuti nel
mondo una bambina muore per emorragie interne e percosse.
Quando le
grandi potenze mondiali smetteranno di pensare solo all’economia e
all’arricchimento schizofrenico e ci aiuteranno a creare programmi di
sostegno per queste bambine, strappate alla loro infanzia?».