Dopo mesi, giorni e ore di trepidante attesa, è ufficiale: Donald Trump ha appena vinto la finale Nba. Ah, non è così? Il lettore ci perdonerà il refuso: ovviamente il ricco magnate è il nuovo presidente degli Stati Uniti. Ma questa corsa alla Casa Bianca, più delle altre, è somigliata molto alle fasi finali del celebre campionato di pallacanestro a stelle e strisce. Per durezza del confronto, equilibrio e logiche spettacolari tipiche dello sport. Perché diciamocelo, in America nulla funziona se non è accompagnato da sfide estenuanti e capovolgimenti di fronte (ao ma non doveva vince la Clinton? È la frase più gettonata nei bar di Roma stamattina), da imprese inimmaginabili e colpi di scena. Il tutto ovviamente incorniciato da un frame televisivo: perché nel Paese delle possibilità e del riscatto non esisti se non dentro lo schermo. Curioso no?
Il sogno americano è morto. Anzi, qualcuno crede l’abbia rilanciato proprio Trump. L’imprenditore e il conduttore televisivo che diventa presidente, in una perfetta storia americana che unisce le logiche dei media e il capitalismo più estremo e aggressivo. Proprio lui, che aveva invece accusato i media di essere falsi e di favorire la rivale Hillary Clinton, accusandola di essere rappresentante di un sistema corrotto, oltre che di non essere brava sotto le lenzuola (“Se Hilary non riesce a soddisfare suo marito cosa le farà credere di poter soddisfare gli Stati Uniti?”). «L’esperienza mi ha insegnato alcune cose – ha raccontato durante la campagna elettorale – una è quella di ascoltare la propria pancia, non importa come suoni bene sulla carta». Il nuovo presidente degli Stati Uniti ha conquistato il suo popolo proprio lì, toccandolo da dentro, nei suoi istinti più viscerali, su quelle tematiche che fanno discutere e che quasi naturalmente schierano: immigrazione, guerre, sistema da rifondare. Lo vediamo già il mondo di domani. Trump, Putin, Erdogan, Orban, magari anche Salvini: tutti premier illuminati con la soluzione a portata di mano. Tra bombe, muri, ruspe e fiaschi di vino. Allegramente cantanti sulle note de “La società dei magnaccioni”, storico stornello romano. Non conoscerlo sarebbe il peccato più grave di Donald, ma lo aiuterebbe di sicuro Salvini, perché “Roma ladrona” va di moda finché a Roma (leggasi “al potere”) non ci si punta per davvero.
E Hilary? Povera Hilary, verrà ricordata probabilmente come uno di quei personaggi storici che hanno fallito miseramente, pur avendo la vittoria in pugno. Caspita, era davvero difficile perdere contro Trump, uno che si è dichiarato senza peli sulla lingua razzista, evasore e trash. Ma l’avete mai vista in faccia Hilary? Aveva il volto saccente di chi sa che ce l’avrebbe fatta per manifesta incapacità altrui, piatta, tutta sobrietà e poco spettacolare. Il male minore secondo i più moderati, ma non per gli americani, che hanno sempre avuto una loro visione delle cose e non amano per niente stare nel mezzo. Anche se, scegliendo Trump, hanno negato d’un colpo solo anni di ideali e di valori: un Paese fondato sull’immigrazione che ora la odia (“Mettiamo un muro al confine con il Messico”, “Cacciamo i musulmani dall’America”), che ripudia chi non paga le tasse, perché così facendo ruba alla comunità (e Trump pare non averle pagate per circa 20 anni, definendosi anche più furbo degli altri). Insomma, chi ha votato Trump ha sposato le sue visioni del mondo e questo è un dato di fatto inequivocabile. A meno che, il buon Donald, non si confermi quello che molti credono sia: un cialtrone. In quel caso, come tanti politici che noi ben conosciamo, non metterà in pratica ciò che ha detto di voler fare. Per noi italiani sarebbe la rivincita perfetta, dopo che ci hanno accusato per anni considerando la nostra classe dirigente poco credibile, quasi da circo. Stavolta si sono superati. Ma si sa, loro vivono per superare i loro limiti. Perché anche se lo definisci morto, il sogno americano non muore mai (con tutte le sue contraddizioni).