Il premier più giovane di sempre contro i volti noti della politica. Non è bastato neanche questo slogan a Matteo Renzi, 41 anni, per avere la meglio sul fronte del “no” al referendum costituzionale. Dalle urne è arrivata una sonora sconfitta: «Volevo far saltare tante poltrone, ho perso e la poltrona che salta stavolta è la mia», ha dichiarato il premier nella conferenza stampa in cui ha annunciato le sue dimissioni; quando ha capito, a scrutinio ancora da ultimare, che la riforma non sarebbe passata. Altro che “rottamare” la politica, alla fine i vari Berlusconi, D’Alema, Bersani e tanti altri sono ancora lì (vincenti), Renzi invece uscirà di scena (almeno per il momento), in attesa dell’ok del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. Un assenso che presumibilmente arriverà dopo l’approvazione della legge di bilancio.
La voglia di cambiamento (ai lettori il giudizio se in bene o in male), questa volta non è stata dei giovani, come spesso accade: secondo Quorum di Sky solo il 19% dell’elettorato dai 18 ai 34 anni avrebbe votato “sì”, con una maggioranza del “no” che si è invece attestata all’81%, venti punti in più della media nazionale. Guardando ad altre fonti, pur con numeri diversi, si nota la stessa tendenza: secondo l’Istituto Piepoli per la Rai, sette under 35 su dieci avrebbero detto un chiaro “no” alla riforma Renzi-Boschi. Sembra paradossale, ma il leader che si è presentato sulla scena politica con l’intento di rinnovare una classe dirigente di lungo corso non ha convinto i più giovani, che quella ventata di rinnovamento la auspicano e la gridano a gran voce da anni. Ma perché? Disoccupazione, precariato e salari bassissimi sono tre possibili chiavi di lettura del fenomeno.
Un governo mai così verde (Maria Elena Boschi ha 35 anni, Marianna Madia ne ha 36 anni, giusto per citare due ministri) è stato percepito “lontano” dagli stessi giovani. Secondo gli avversari di Matteo Renzi l’errore politico più grave del premier sarebbe stato quello di giocare tutte le carte della campagna elettorale su un’altra fascia della popolazione, quella più adulta. Poiché solitamente gli Under 35, in Italia, rappresentano tra il 20 e il 30% dell’elettorato, votano pochissimo (una bassa affluenza tra i giovani, come negli ultimi referendum, avrebbe favorito il “sì”) e paiono più orientati sui Cinque Stelle (in questo caso quindi per il “no”). Gli over 55 hanno invece risposto presente confermando le attese, dicendo “sì” in maggioranza: 51% per Piepoli per Rai e 53% fonte Quorum per Sky Tg24.
Stavolta, piaccia o meno, hanno deciso i giovani. Smentendo due luoghi comuni: il primo quello che quest’ultimi non peserebbero mai in maniera determinante sui risultati elettorali (vedi Brexit, in cui gli “young” britannici hanno deciso di restare in Ue, o negli Usa, dove hanno scelto la Clinton), il secondo la naturale predisposizione al cambiamento rispetto agli anziani, i soliti conservatori dello status quo. Come ha dichiarato Marco Valbruzzi, ricercatore dell’Istituto Cattaneo, all’Huffington Post, quello della maggior parte dei giovani pare essere stato un voto “sociale”, più che politico. Perché come non sarebbe giusto sostenere che i votanti del “sì” abbiano solo dato una sorta di fiducia al governo Renzi (senza entrare nel merito della riforma), parrebbe azzardato sostenere che chiunque si sia schierato con il “no” lo abbia fatto esclusivamente per un’antipatia nei confronti del premier. «Questo è il No degli esclusi – ha spiegato Cattaneo – il “no” di chi è in difficoltà, di chi è precario e di chi vive nell’incertezza. È la rabbia che cova in alcuni strati della società e che esplode appena si apre uno spazio utile allo sfogo». Al di là dei giudizi sommari e approssimativi, solo il tempo saprà dirci quale responsabilità diretta abbia Renzi in questo clima di malcontento e quali invece siano le colpe del resto del mondo politico italiano.