Se dovessimo osservare un minuto di raccoglimento per ogni ebreo ucciso dal regime nazista (circa 6 milioni) dovremmo rimanere in silenzio per 11 anni e mezzo. Secondo il Museo dell’Olocausto di Washington furono però tra i 15 e i 20 milioni le vittime di quella triste pagina della storia umana. Una tragedia resa possibile anche dalla complicità e dal silenzio di coloro che non ebbero il coraggio di reagire. Eppure non tutti tacquero. Tra il giugno del 1942 e il febbraio del 1943, in una Germania che aveva già messo in atto la “soluzione finale” (ossia lo sterminio forzato del popolo ebraico), un gruppo di studenti universitari cristiani di Monaco si oppose in modo non violento al regime. I membri del movimento, che scelsero il nome di “Weiße Rose”, (in italiano “La Rosa Bianca”) furono arrestati, condannati per alto tradimento e decapitati.
Negli ultimi anni la loro storia è diventata patrimonio condiviso dell’Europa, grazie al lavoro delle associazioni tedesche e al successo del film del 2005 di Marc Rothemund, su Sophie Scholl, l’unica donna nel gruppo formato da 5 studenti poco più che ventenni e da un professore. “Per un popolo civile non vi è nulla di più vergognoso che lasciarsi governare senza opporre resistenza, da una cricca di capi privi di scrupoli e dominati da torbidi istinti” scrivevano nel loro primo volantino, al grido di “Libertà libertà!”. In Italia, all’inizio degli anni ottanta, un gruppo di cattolici democratici, la Rosa Bianca italiana, si fece custode del ricordo di quei giovani. In occasione della Giornata della Memoria per le vittime dell’olocausto abbiamo intervistato Fabio Caneri, presidente de “La Rosa Bianca italiana”.
Nel caso della “Weiße Rose” i giovani morirono per le proprie idee di pace, giustizia e libertà. Come fare affinché questi esempi del passato possano parlare ai giovani di oggi con un linguaggio attuale?
«Nel misurarsi con il loro tempo i giovani della Weiße Rose si interrogarono su come fosse possibile l’eliminazione sistematica di disabili, lo sterminio degli ebrei, le epurazioni degli oppositori politici e tante altre atrocità in una Germania profondamente connotata da radici cristiane. Ancora oggi ci sono situazioni nella vita di ciascuno e nella vita comune che magari ci pongono dinanzi alla domanda “cosa possiamo fare?”. La possibilità di esprimere un coraggio civile edi esercitare la libertà di pensiero, anche di fronte alle situazioni più scomode, è qualcosa di fondamentale per coltivare umanità e possibilità di democrazia. Credo che ai giovani di oggi debba arrivare soprattutto questo messaggio»
Ai giovani viene mossa spesso l’accusa di indifferenza verso la cosa pubblica. Crede sia vero?
«C’è la necessità di riscoprire il senso della nostra cittadinanza, la possibilità di riappropriarsi del nostro futuro. La democrazia senza uno sforzo continuo dipartecipazionerischia di diventare parola vuota, così come la libertà. Democrazia e libertà non la possono esercitare spettatori, ma persone che prendono a cuore la propria comunità, per questo credo che spetti ai giovani “dare forma” al mondo. Mi sembra che tra i giovani non manchino il desiderio, le risorse, la capacità di affrontare l’inedito e di avviare nuovi processi, di riattivare un pensiero politico che non si limiti ad affrontare problemi di oggi o a cercare soluzioni di breve respiro»
Cosa bisogna fare affinché la Giornata della Memoria non resti un appuntamento annuale “da calendario”?
«È importante parlarne, farne oggetto di una memoria collettiva, perché la storia non si ripeta, perché non venga negata nuovamente la dignità delle persone. Gli incontri con gli studenti nelle scuole sono delle straordinarie opportunità per riflettere e confrontarsi – a partire da un passato che sembra lontano – ma per leggere quali realtà oggi vivono in un contesto di disumanizzazione»
Perché, secondo voi, ha ancora senso oggi, in un mondo globalizzato mosso prevalentemente da interessi economici, parlare di politica della persona e della comunità?
«Le teorie che accompagnavano il mito di una crescita economica che avrebbe portato benessere per tutti si sono rivelate errate. In questi anni sono cresciute le disuguaglianze ed è aumentata in modo significativo la concentrazione della ricchezza nelle mani di pochi. Se ci limitiamo a pensare al puro consumo e sfruttamento di ricchezze, di suolo e soprattutto di persone, inevitabilmente saremo portati al declino spirituale, culturale, sociale ed economico. La qualità e la misura della cittadinanza non sono date dalle ricchezze o dal denaro,ma dalpatrimonio di relazioni e di legami che persone e comunità sono in grado di generare attraverso il vivere comune e la partecipazione»