10 Mag 2017

Libertà di informazione. La classifica di Reporter Senza Frontiere è attendibile?

L'Italia si trova solo al 52° posto. Ma i criteri adottati dalla ONG sono discutibili

Tornando verso casa dopo una lunga giornata trascorso
all’università, ascolto in macchina una canzone di qualche anno fa, del rapper
Fabri Fibra con la collaborazione di Gianna Nannini. Il brano in questione,
intitolato “In Italia”, nel ritornello cantato proprio dalla Nannini, ad un
certo punto usa queste parole: «Sei
nato e morto qua. Nato e morto qua. Nato nel Paese delle mezze verità».
L’Italia è davvero il Paese delle mezze verità?

Probabilmente sarebbero
d’accordo
i collaboratori di Reporter Senza Frontiere (RSF), una
organizzazione non governativa, che ha come obiettivo la difesa della libertà di
stampa a livello internazionale e che ci colloca nel suo ultimo rapporto al 52°
posto della classifica mondiale della libertà di stampa. Una classifica che nel
2016 ci vedeva al 77° posto,che abbiamo
risalito in seguito all’assoluzione dei due giornalisti Nuzzi e Fittipaldi nel
processo Vatileaks, e che fa ben sperare, anche se la posizione dell’Italia
rimane decisamente bassa.

Bisogna, però, prendere questa classifica con le
pinze
, per via di alcuni discutibili criteri adottati per stilarla. Per prima
cosa sembra abbastanza strano che il solo processo Vatileaks sia valso ben 25
posizioni, ma ancora più strano è che un processo portato avanti dallo Stato
Vaticano influisca sulla classifica di quello italiano, che di fatto non era
coinvolto, se non per la nazionalità dei due giornalisti.

Tra le motivazioni
riportate da Reporters sans Frontiers
, che ancora ci legano a questo 52° posto,
oltre a sei giornalisti sotto scorta per minacce mafiose, c’è anche Beppe
Grillo
. Il leader del Movimento 5 Stelle, con la sua crociata contro i mezzi di
informazione tradizionali, contribuisce di fatto a limitare la libertà di
stampa in Italia. Eppure spesso i 5 Stelle hanno spesso usato come arma nelle
proprie invettive questa classifica, cosa paradossale se si considera che
Grillo è una delle cause del cattivo ranking italiano; lo stesso Grillo che
continua a non voler smorzare i toni dei suoi sproloqui contro la stampa e che
anzi cavalca il fenomeno delle fake news, molte delle quali postate sul suo
(forse) blog e le restanti create e diffuse dal suo elettorato.

Eppure, per
quanto gravi le azioni di Grillo e le minacce
mafiose, possibile che l’Italia
si trovi ben 10 posizioni sotto il Burkina Faso? Viene naturale chiedersi quali
siano i criteri utilizzati da Reporters sans Frontieres. Un recente articolo de
Il Post si occupa proprio di approfondire le modalità con cui viene stilata
questa classifica. Un primo punteggio (ScoA) viene assegnato sulla base di
un’analisi qualitativa, rilevata tramite questionario compilato da gruppi,
associazioni e giornalisti scelti dalla RSF. Poi si procede tramite analisi
quantitativa calcolando il numero di giornalisti uccisi o minacciati,
producendo un secondo punteggio (ScoB) in cui un omicidio pesa di più di un
arresto. Per dare la classifica finale viene utilizzato il punteggio più alto
fra i due.

Il metodo è decisamente complesso, ma in sostanza si basa molto su
opinioni soggettive di persone o enti scelti dalla RSF, ed è per questo che il
grado di attendibilità di questa classifica andrebbe riconsiderato dalla
comunità giornalistica. Di certo la professione del giornalista è diventata un
mestiere sempre più complesso e sempre meno pagato, cosa che ha portato anche
una notevole diminuzione della qualità dei lavori prodotti, quindi non deve
sorprendere il repentino aumento delle fake news.

Sarebbe sbagliato, però,
sminuire il lavoro
di tutti coloro che fra mille difficoltà, lavorano seguendo
l’etica e la deontologia di questa professione, assegnando loro un posto in una
classifica di discutibile oggettività.

condividi su