Al terzo giorno di coma vegetativo i medici hanno detto: non c’è speranza, non può farcela, stacchiamo la spina. Ma al quinto giorno si è svegliato. È un miracolo?
Emilio Solofo è un religioso vocazionista del Madagascar. La sua storia potrebbe essere un miracolo, che faciliterebbe la causa della canonizzazione del Beato Giustino, fondatore dei Vocazionisti.
«La mattina del 16 aprile 2016, mentre mi trovavo nella comunità parrocchiale di Quarto (NA) per fare il mio anno di Magistero, mi hanno trovato per terra. Me lo hanno raccontato gli altri, perché io ero incosciente: ero caduto accanto al mio letto ed ero impregnato nel sangue. Mi hanno portato subito all’ospedale Santa Maria della Grazia, a Pozzuoli. Lì sono rimasto 5 giorni in coma e il quinto giorno – contrariamente a tutto quello che dicevano i medici – mi sono risvegliato dal coma. Tutto qua: mi sembrava morire e risorgere», racconta con un sorriso.
L’ultima cosa che ricordi, prima di entrare in coma?
«La sera precedente mi sentivo molto stanco, e quindi sono andato a letto più presto del solito. Per il resto non ricordo nulla, e non so neanche se sono caduto dal letto durante la notte o la mattina. Poi ho un vago ricordo: mentre stavo in ospedale, sentivo del dolore mentre mi intubavano… ricordo una voce di una donna che diceva “è grave la situazione”. Del resto non ricordo assolutamente nulla».
Sentivi, riconoscevi ciò che avveniva attorno a te?
«No, niente».
Cosa è avvenuto secondo te nei cinque giorni di coma, che esperienza hai fatto?
«Cinque giorni… certo non ero preparato a questa lunga dormita. Avevo completamente perso la cognizione del tempo e nessuno in ospedale mi ha detto che erano passati ben cinque giorni. Solo dopo un po’ di tempo ho capito che ero stato in coma vegetativo per così tanto tempo. Come esperienza, la cosa che ricordo è che io stavo camminando, ho camminato tanto, ma non ero stanco e guardando indietro ho visto che, a una certa distanza, c’erano delle persone: non conoscevo nessuno, però riconoscevo che erano persone buone. Invece, guardando avanti, la strada era sempre più lunga. Ho solo questo ricordo. Penso che non ho fatto tutta quella strada: eccomi qua, sono tornato!».
Dopo il risveglio, sei stato subito cosciente? Ricordavi tutto?
«No, solo dopo alcuni giorni ho iniziato a ricordare meglio».
Dopo questa vicenda, che cosa pensi dei medici che “staccano il filo” e dell’eutanasia?
«Nel mio caso, io che ero in coma non ero cosciente per niente di quello che mi succedeva, quindi la mia vita era completamente nelle mani dei medici, che la gestivano secondo la loro conoscenza. Secondo loro già dal terzo giorno non c’erano più speranze di un risveglio. Quindi si stavano preparando a staccare il filo. Però un sacerdote ha detto: “aspettiamo un altro poco”. Così ha fatto scoprire il limite della conoscenza umana e che il mistero della vita è molto più grande dell’uomo stesso. Penso, perciò, che è meglio affidarsi a Dio che all’uomo, almeno nei casi che non ci competono e addirittura ci superano».
Sapevi che i medici ti stavano preparando per la donazione degli organi? «No, me l’hanno detto i confratelli quando sono uscito dall’ospedale».
Sulla donazione degli organi sei d’accordo?
«Sì, certo, se qualcosa di me può essere utile per gli altri dopo la mia morte… certo che non ho nulla in contrario alla donazione degli organi».
Cosa pensi che ci sia stato dietro a tutto questo? Alcuni parlano di miracolo…
«È un miracolo. Sì, secondo me è proprio un miracolo. Per i medici non avrei mai potuto tornare in vita, e mai e mai a una vita normale come prima. Il cervello, il cuore e i reni erano in condizioni che non potevano più sostenere la vita. D’altra parte, nessuno ha agito… Voglio dire, io non ho fatto niente, i medici neanche. Ma so di certo che ci sono state delle persone che hanno pregato per me, quindi credo che ci sia stato un intervento soprannaturale».
È possibile sperare anche quando tutti dicono “non c’è speranza”?
«Si, si può sperare sempre».
Possiamo dire che la speranza non muore mai?
«Assolutamente sì, non muore mai».
(Don Emilio saluta con un volto sereno e sorridente, che trasmette una sensazione di grande pace, tipico di un uomo che ha vinto la morte)