06 Gen 2019

COLD WAR: una storia d’amore durante la Guerra Fredda

Il pluripremiato film di Pawlikowski, Miglior Regia a Cannes e 5 statuette agli EFA Awards, si presenta come un film (quasi) perfetto.

Il cinema ritrova il bianco e nero. Dopo Roma di A. Cuaron, è la volta di Cold War di Pawel Pawlikowski, una storia d’amore struggente nel periodo della Guerra Fredda: che torna al “vecchio” modo di fare film. Per la trama prendiamo gli ingredienti di La La Land (che di fatto sono gli stessi di molte altre sceneggiature): un compositore sopraffino, una ragazza di campagna in cerca di successo, l’amore tra i due, la musica tra jazz e popolare, e li rimescoliamo all’interno della Storia, in quella glaciale spaccatura dell’Europa in due metà ben distinte (va detto, per un racconto completamente diverso dall’apprezzabile film di Chazelle).

 

La storia di Wiktor (Tomasz Kot) e Zula (Joanna Kulig, straordinaria) è la storia di due amanti veri (ispirati ai genitori del regista), che per 15 anni, tra la Polonia, la Francia e la Jugoslavia, si avvicinano e si allontanano a ripetizione, in una danza di sguardi, parole e note che ci mostrano cosa sia l’amore, quello vero. Quell’essere disposti a tutto pur di tornare dalla propria amata, il rischiare la vita, la dignità, la propria integrità per tenere unito quel legame che è più forte di qualsiasi altra cosa. I personaggi, infatti, giocano con la propria integrità, a volte addirittura la sconvolgono, per trovare se stessi e trovare l’altro. Ciò è possibile grazie alla superba recitazione degli attori, che rende bene la profondità psicologica dei due protagonisti.

Per inserirci in questa travolgente storia, al regista bastano 86 minuti di vera arte: inquadrature composte perfettamente e movimenti di macchina usati con giusta parsimonia, montaggio straordinario che dà il ritmo giusto a ogni sequenza, fotografia veramente bella, recitazione emozionante, dialoghi realistici, storia struggente; non a caso il film ha vinto la miglior regia a Cannes e agli EFA Awards ha ottenute 5 statuette per: regia, montaggio, sceneggiatura, attrice e miglior film. Ma non è il tempo che è necessario al regista per raccontare in profondità ogni aspetto della trama, alcune vicende sono lasciate “sospese”, ma mai in maniera superficiale o criptica: tutto ciò che dobbiamo sapere e che vogliamo sapere ci è dato dal racconto.

 

Un insieme di elementi che catturano l’attenzione fino alla fine del film, per una messinscena che si avvicina alla perfezione, e se Roma sperava di avere vita facile agli Oscar (per la sezione “miglior film straniero”), il film di Pawlikowski ha grandi carte da giocare, per una sfida tutta in bianco e nero.

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