25 Gen 2019

Dietro un semplice selfie, può esserci un mondo intero

Dall'ultimo libro di Adriano Fabris, le nuove tecnologie e le sfide per l'etica

Il Ventunesimo secolo viene caratterizzato come il secolo dell’inpertecnologizzazione del mondo. Smartphone, computer e robot sono tecnologie di comunicazione che usiamo per trasmettere informazioni, per muoversi in città o luoghi sconosciuti, per fare spese, per fare ‘selfie’, per creare dei contatti con le persone attraverso i social network e… anche per lavorare e per studiare. Essi sono divenuti strumenti indispensabile per la vita quotidiana, tanto che li portiamo con noi dappertutto .

Adriano Fabris, professore di Filosofia morale ed Etica della comunicazione all’Università di Pisa, nel suo ricente libro, Etica per le tecnologie dell’informazione e della comunicazione, (pubblicato in settembre 2018 da Carocci editore e Quality Paperbacks), fa un analisi del rapporto tra l’essere umano e le tecnologie dell’informazione e della comunicazione per capire come incidono sui nostri comportamenti, per poter stabilire “modi in cui è possibile affrontarli da punto di vista etico”.

Il saggio di Fabris è un insieme di linee guida, con uno stile simplice e facile da leggere, in 123 pagine, per permettere al lettore di affrontare piacevolmente le problematiche legate all’uso dei dispositivi digitali di comunicazione offrendogli una bussola che gli permette di orientarsi nella società “ipertecnologizzata”.

Il saggio è diviso in tre capitoli.

Nel primo, “i concetti di base”: Fabris ci porta prima di tutto a fare un salto qualitativo con il cambiamento paradigmatica tra tecnica e tecnologia. Lo strumento tecnico, dice l’autore, dipende fondamentalmente per il suo uso dalla volontà umana in quanto sottoposto a lui. Invece gli strumenti tecnologici sono automatici e non dipendono dell’uomo per raggiungere gli scopi per cui sono stati programmati. Anzi, parlare delle tecnologie dell’informazione e di comunicazione, è fare riferimento al trattamento automatico dei dati con delle conseguenze a loro collegate: velocizzazione nella trasmissione dei dati, privacy, flussi d’informazione che cambiano il modo umano di informarsi, di formarsi e di comunicare. Secondo, l’autore parte da un necessario chiarimento tra i concetti d’informazione e quello di comunicazione che gli permette di fare anche una differenziazione tra i computer ed esseri umani. Se i due concetti fanno riferimento alla trasmissione di un messaggio da un emittente a un destinatario, essi sono diversi. La comunicazione, rispetto all’informazione, è condivisa e partecipativa. Essa è un “mettere in comune”. Ma comunicare può essere anche un’attività offensiva, e per concludere questo capitolo, Fabris propone ‘prescrizioni particolari e attitudini e costumi’ per un buon rapporto con l’ambiente tecnologico in generale. 

Nel capitolo due, “Etica dei dispositivi per la comunicazione”, Fabris denuncia un uso inappropriato delle tecnologie che sono causa di numerosi danni, a volte anche banali nelle cause ma non negli effetti che producono, come, ad esempio, un autista che fa un incidente perché stava mandando un sms. Per illustrare e sostenere il suo argomento, Fabris fa riferimento al film di Gabriele MuccinoSeven Pounds (2008) dove Tim Thomas, come molti di noi, non riesce a non guardare il suo smartphone. Lo smartphone, a volte lo usiamo maladestramente. E questo, secondo Fabris, è il compito dell’Etica: non basta sapere come funzionano i dispositivi tecnologici, bisogna porsi delle domande sui loro scopi e sulle conseguenze del nostro modo di pensare, sul nostro comportamento e sulla nostra cultura. Fabris ci conduce nel mondo delle tecnologie di comunicazione proponendoci “una riflessione sui comportamenti umani resi possibili da tali tecnologie” e anche sull’agire delle tecnologie automatiche. La comunicazione, con queste ultime tecnologie, non va più considerata solamente come un interazione fra essere umani, ma anche come gli artefatti digitali. 

Nell’ultimo capitolo “Etica degli ambiente comunicativi”, partendo della definizione del filosofo della tecnologia digitale, Luciano Floridi, Fabris definisce l’infosfera come “l’ambiente di dati e informazioni in cui viviamo e con il quale interagiamo costantemente, sia offline che online”. Ormai essi fanno parte della nostra quotidianità e hanno bisogno di un’etica. L’autore mette in guardia contro il rischio di confondere il reale con il virtuale. Si parla appunto di “realtà virtuale” con la quale, speriamo di salvarci dai mali del mondo.

Un’altra distinzione viene fatta tra etica di internet ed etica in internet. La prima analizza il tema del digital divide e le dinamiche di Internet come la neutralità dei risultati sui motori di ricerca e la salvaguardia della nostra privacy. La seconda, invece, analizza “i comportamenti di coloro che operano nella rete e definire, giustificare, promuovere le buone scelte nell’uso del web”. Il capitolo si conclude con una presentazione dell’etica dei social network con i problemi etici che pongono i riflettori sulla fluidità dell’identità, la trasformazione dell’idea di comunità, le fake news, l’esibizione di sé.

Le tecnologie rendono molteplici servizi all’uomo e comunicano con lui e per lui. Ma ci sono rischi e pericoli nel loro utilizzo che ci fanno capire che non si deve divinizzarle, ma considerarle come tali, nella loro funzionalità, in quanto servono per l’informazione e per la comunicazione. L’essere umano, comunque, rimane un bene superiore nella sua dignità come essere responsabile e libero. Questo è la sfida etica che deve affrontare oggi.

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