Il 24 febbraio, la novantunesima edizione degli Oscar si è tenuta al Dolby Theatre di Los Angeles. Lontano dal clamore e dal fascino di questa prestigiosa cerimonia, si svolgeva a Ouagadougou (Burkina Faso), dal 23 febbraio al 2 marzo, la ventiseiesima edizione del festival cinematografico e televisivo panafricano di Ouagadougou, detto FESPACO, che si tiene ogni due anni.
Da un timido inizio nel 1969, FESPACO il festival è diventato il più grande festival cinematografico dell’Africa. Il motto dell’edizione inaugurale del 1969 – “Le immagini dell’Africa, dall’Africa e per l’Africa” - è rimasto il DNA di questo evento.
Come sottolineato da Colin Dupre, storico del cinema e autore di “Fespaco, un affare di stato(i)”, la nascita del Fespaco ha significato “un inizio di decolonizzazione degli schermi”. Infatti, «fino alla metà degli anni ’70, gli schermi africani non mostravano film africani, perché le compagnie di distribuzione erano società francesi che utilizzavano copie usate, che erano già state girate, e poi le passavano in Africa. Il compito principale del festival era quindi quello di decolonizzare gli schermi. Il secondo compito era quello di federare i registi in un luogo al sud del Sahara. C’era già il Carthage Film Festival (JCC), ma il Fespaco ha federato i registi e faceva parte di un movimento culturale in Africa».
Il secondo compito importante del Fespaco era quello di partecipare al movimento e all’ebollizione culturale degli anni ’70 e ’80. Il festival rappresenta quindi un’opportunità per i cineasti africani di promuovere il loro lavoro e mira a contribuire all’espansione e allo sviluppo del cinema africano in Europa, Nord America e altrove.
Questa ventiseiesima edizione si è svolta in un contesto particolare, contrassegnato dai 50 anni di esistenza del festival. Un cinquantenario sotto le tre dimensioni della memoria, dell’identità e dell’economia: «confrontarsi con la nostra memoria e plasmare il futuro di un cinema panafricano nella sua essenza, la sua economia e la sua diversità».
Questi cinquant’anni, secondo Ardiouna Soma (delegato generale del Fespaco), rappresenta l’epoca d’oro che parla del passato, ma anche dei risultati, del fallimento e del riposizionamento necessario per affrontare meglio il futuro del cinema africano.
Una delle principali innovazioni di questa edizione, è stata la valorizzazione della categoria film di animazione. Ci sono volute 26 edizioni, cinquanta anni di esistenza e molta forza persuasiva per il Fespaco per premiare questa categoria. Per i professionisti di questa categoria è una vera consacrazione, perché questo tipo cinematografico è ancora poco considerato nel continente. Eppure l’industria dell’animazione ha trovato il suo pubblico in Africa, come dimostra il successo di Afrikatoon, uno studio ivoriano.
Inoltre, c’è stata una rivalutazione dei film documentari con 36 documentari (21 lunghi e 15 brevi).
La principale sfida è stata il riconoscimento delle donne. Va notato che dalla storia del festival nessun regista ha vinto questo premio. E dei venti lungometraggi in concorso, solo quattro film sono fatti da donne. Al di là di questa realtà, tutti, almeno, sono d’accordo sull’evoluzione della situazione rispetto agli anni precedenti.
Erano in competizione circa 165 film, distribuiti in sette categorie che coprivano il campo della fiction, del documentario, delle serie televisive, delle scuole di cinema africano e dei film di animazione, tra cui venti opere ai blocchi di partenza per l’Etalon Golden Yennenga, il più grande premio del festival. Questo premio è stato assegnato a Joel Karekezi, regista ruandese del film “The Mercy of the Jungle”.
Come d’abitudiem, anche quest’anno il festival ha scelto un paese come ospite d’onore e, dopo l’Egitto nel 2015 e la Costa d’Avorio nel 2017, ha diretto i suoi proiettori sulla regione dei Grandi Laghi, per evidenziare un paese emergente, la Repubblica del Ruanda. Ed è stato questo film che é stato proiettato all’apertura di questa edizione.