Prithika Yashini è stato il primo ufficiale di polizia transgender in India. La sua storia è stata raccontata nel documentario “Transcender”, che ha ottenuto riconoscimenti internazionali con due selezioni ufficiali per il “Peace on Earth Film Festival, Chicago” e “Wicked Queer: The Boston LGBT film festival”, uno dei festival cinematografici più antichi e più grandi al mondo per la comunità LGBT. L’ha realizzato Ernest Pathi, un comunicatore efficiente, competente e una persona socialmente impegnata. Ha studiato alla prestigiosa Loyola Marymount University, Los Angels ed ora è direttore del DBICA (Don Bosco Institute Of Communication Arts) di Chennai.
Le comunità transgender sono discriminate a tutti i livelli. Come sei arrivato all’idea di realizzare un documentario su questo tema?
«Nei miei anni giovanili, li avevo considerati quasi come mendicanti. Venivano ridicolizzati e degradati. Ma c’era sempre un pensiero presente in fondo alla mia mente: non sono anche loro creati da Dio come te e me? Non sono fratelli e sorelle? Perché allora la società li sta discriminando? Mentre stavo svolgendo i miei studi sul cinema negli Stati Uniti, ci fu una dibattito a livello nazionale sulla comunità transgender e su quale servizio igienico/toilette dovessero utilizzare. Potei costatare che si trattava di una questione universale. Proprio in quel periodo, mi imbattei nella notizia riguardante Prithika Yashini, che è del mio stesso Stato, il Tamil Nadu. Quel fatto suscitò in me una sorta di interesse, che decisi di seguire fino ad arrivare a realizzare un documentario su di lei».
Che cosa ti ha colpito nel personaggio di Prithika Yashini?
«Un fatto curioso che volevo conoscere riguardava il contesto di provenienza del suo nome, Prithika Yashini, che personalmente mi piaceva. Durante l’intervista, lei condivise con me delle informazioni interessanti. Si era resa conto che non voleva effettivamente essere un ragazzo, che intendeva essere una ragazza e rivelò il fatto alla madre. La famiglia piombò nel panico. I suoi tentarono ogni genere di soluzione: dal recarsi ai vari templi, alla ricerca di consultazioni mediche e psicologiche. Accadde così che sua madre la portasse abitualmente al Tempio Pratyangira Devi, per trovare un rimedio e chiedere la grazia che suo figlio, Pradeep Kumar, riuscisse ad accettare se stesso come ragazzo, maschio. D’altra parte, Prithika Yashini supplicava la stessa Dea che, se le fosse stato concesso di essere una trans-donna, avrebbe preso per sé lo stesso nome della Dea pratyangira, Prithika Yashini».
Il film è stato lanciato nella Giornata Internazionale della Visibilità Transgender: quali sono stati gli altri eventi principali di quel giorno?
«Era mia intenzione pianificare una bella data di rilascio, ma la si stava posticipando dopo novembre. Questo mi ha permesso di venire a conoscenza del 31 marzo, Giornata Internazionale della Visibilità Transgender. Ho pensato che quello sarebbe stato il giorno migliore per far uscire il mio film. Volevo che questo film creasse spazio e visibilità per questo gruppo discriminato di persone transgender e le portasse alla ribalta. Gli altri eventi principali di quel giorno riguardarono il venire a conoscenza di altre persone transgender, che stavano attuando il transfer come prithika. È stata anche una cerimonia d’onore per tutti quelli che si sono liberati dal tabù e che possono essere esempio per le altre persone. È stata inoltre un’iniziativa per motivare e stimolare tutti coloro che hanno l’interesse e la volontà di perseguire gli studi superiori. Sono anche state assegnate loro Borse di studio».
Come ti senti riguardo al riconoscimento, ai premi che il tuo documentario ha ricevuto?
«Non ho mai pensato che il mio documentario avrebbe vinto dei premi. È in prima posizione per l’assegnazione dei riconoscimenti ai film studenteschi BAFTA 2019 e mi sento molto umile e felice per essere stato in grado di dare qualche contributo alla società e per aver creato un po’ di attenzione. Mi piacerebbe ora che diventasse virale, per spingere la gente comune a discutere e dibattere su ciò che dovrebbe essere fatto per questo gruppo di oppressi e soppressi. Abbiamo bisogno di creare consapevolezza tra i bambini, i ragazzi, i giovani e i loro stessi genitori sul ‘come’ accettare e trattare con dignità queste persone. Spero che l’aver ottenuto questo riconoscimento internazionale, possa crearmi una piattaforma che mi permetta di parlare liberamente, con audacia e fierezza di tale questione e di sollevare discussioni a livello di media».
Potresti raccontare alcuni momenti o eventi toccanti vissuti nel corso della realizzazione di questo documentario?
«Ce ne sono molti. Ciò che ricordo in particolare è il giorno in cui andammo a girare il film nella sua città natale, a Salem(Paese): il papà di Prithika voleva portarci nella loro casa di origine, dove vivevano prima. Prithika aveva conservato la foto scattata quando era un bambino di sette anni. Non voleva che noi la guardassimo, ma la troupe che l’aveva adocchiata voleva filmarla. Prithika, inizialmente riluttante, alla fine accettò. La nonna staccò dal muro la foto incorniciata e mentre cercava di posarla, il ritratto le scivolò di mano e il vetro si ruppe. Era un venerdì e subito la famiglia collegò l’accaduto ad un cattivo auspicio ed erano erano preoccupati. Cercai di consolarli e di aiutarli a considerare il fatto come realtà, ma fu un compito difficile.
Il secondo momento toccante è l’intervista con il gruppo di transgender che si confidarono e condivisero con noi le loro lotte personali. L’intera troupe era in lacrime ascoltando per la prima volta le difficoltà e l’esperienza personale di questo gruppo».
Quale futuro obiettivo pensi che il tuo documentario possa raggiungere per questa parte svantaggiata di società?
«Prima di tutto, voglio usare questo film come piattaforma per la discussione pubblica, così da creare consapevolezza; attirare l’attenzione dei religiosi versi questo gruppo completamente trascurato, perché nessuno vuole farsi carico di loro, nemmeno la stessa famiglia in cui sono nati; riflettere seriamente se qualcuno può iniziare a lavorare per questo specifico gruppo di persone.
Voglio proiettare questo film nelle scuole e nei collegi universitari, sempre per creare consapevolezza e portare con me qualche persona transgender con cui i ragazzi e i giovani possano interagire, per ascoltare e imparare a conoscere in prima persona la vita pietosa che queste persone vivono nel 21° secolo.
Voglio rilanciareall’evento annuale del 31 maggio come Giornata Internazionale di Visibilità per Transgender, in modo da riuscire a creare una sorta di piattaforma per la presa di coscienza; per costruire un palcoscenico che li metta sotto i riflettori, da cui possano ispirare i membri delle loro stesse comunità. Voglio mobilitare fondi e aiutarli a proseguire nella loro ricerca di crescita e raggiungimento di studi superiori.