Noi giovani siamo chiusi in casa con suggestioni sull’esterno che non sono veritiere, e l’esperienza diretta lo dimostra.
40esimo giorno di quarantena, per la prima volta sarebbe toccato a me andare a fare la spesa. Mi sarei occupato di prendere solamente lo stretto necessario, più qualche sfizio per far passare meglio questo tempo di permanenza in casa.
Ormai ero preparatissimo sulla teoria: mascherina, guanti, metro di distanza e autocertificazione pronta per essere mostrata a richiesta. Ero anche già stato avvisato di tutte le varie complicazioni tipo: file con tempi di attesa lunghissimi, come un ristorante al centro durante il weekend. Per non parlare poi della caccia al lievito, in cui anche Indiana Jones avrebbe avuto la peggio. Ma ciò non mi scoraggiava, quei quaranta giorni di quarantena avevano ormai temprato il mio spirito.
Il market non si trovava lontano, a piedi ci sarebbero voluti una ventina di minuti ma, vivendo in campagna alle porte di Roma, avevo deciso di andare in groppa al mio longboard, per godermi la passeggiata in modo differente. Non andare in macchina mi sembrava il modo migliore per fare un po’ di allenamento, visto che ormai stavo iniziando a prendere le sembianze di un tubero.
Dopo aver fatto la prima parte di sterrato con il longboard in spalla, ho iniziato ad avere il fiatone: “panico da coronavirus”, ma mi sono calmato ricordandomi che il massimo sforzo fisico che avevo fatto a casa erano le scale per andare in sala da pranzo.
Finito l’incubo, ho sgranchito la schiena, sono saltato sullo skate e mi sono lanciato per la strada. Mentre gli alberi scorrevano ai lati, sono rimasto stupito da come quella semplice azione mi sembrasse così nuova ed emozionante. Il vento sul volto, il sole che mi scaldava, tutto sembrava così surreale, ma era quella la realtà di cui ormai ci stavamo dimenticando.
Arrivato al market, la mia visione apocalittica è però cambiata. Mi aspettavo gente spaventata o comunque diffidente verso il prossimo, invece tutt’altro.
Stavo in fila fuori, tentando di usare tutte le mie capacità cognitive per posizionare quello skate gigante nel modo meno scomodo e più stabile possibile, quando la mia concentrazione è stata spezzata dal vocione della signora del market che segnalava l’arrivo del mio turno. Alzandomi… “boom”: la tavola è di nuovo per terra. Il panico è tornato, immaginavo già lo sguardo impaziente della commessa che regolava il traffico della fila. Ero già pronto a chiedere perdono per i miei peccati e mentre sprofondavo nelle tenebre pensavo: «perché hanno dovuto mandare me a svolgere questa ricerca di viveri in territorio pericoloso?».
A riportarmi alla realtà è stata proprio la signora, che invece di riprendermi si è messa a ridere invitandomi a dare a lei lo skate per potermi aiutare.
Mai mi sarei aspettato una reazione così allegra e spensierata. Entrando, ho lasciato alla signora la tavola, ancora con i riflessi rallentati dallo stupore. Ci siamo scambiati qualche battuta alla giusta distanza di sicurezza e infine mi sono avviato a fare scorte.
Finita la spesa, sono andato a ritirare il mio mezzo e con lo zaino pieno fino a scoppiare mi sono avviato verso casa, con un’energia completamente nuova e fiducioso nel ritorno alla normalità