«La proposta politica vincente sarà quella che coinvolgerà i giovani migliori»

Intervista a Mauro Mazza, giornalista e scrittore, già direttore di Tg2, RaiUno, e RaiSport, sul disinteresse diffuso tra i giovani nei confronti della politica, indagando sulle cause e ipotizzando il futuro.

Gli ultimi decenni si sono contraddistinti per un continuo distaccamento dei giovani dal mondo politico. Mentre gli adulti e gli anziani scaricano su loro la responsabilità di questo disinteresse, essi attribuiscono questo allontanamento all’operato politico degli anni passati e non si sentono rappresentati dall’attuale classe politica. Abbiamo chiesto a Mauro Mazza, giornalista e autore di saggi storico-politici, le cause di questo fenomeno e le prospettive per il futuro.

Spesso si sente dire che i giovani non si interessano più alla politica. Se concorda con quest’affermazione, in cosa individua la causa principale di questo disinteresse?

«Il disinteresse così diffuso delle nuove generazioni nei confronti della politica è fenomeno abbastanza nuovo. Nel secolo scorso le cose erano profondamente diverse. A ridosso della prima guerra mondiale, in tutto l’occidente europeo i neonati partiti di massa seppero coinvolgere molti giovani. Il suffragio universale sviluppò un crescente interesse da parte di strati della popolazione che prima di allora era sempre stata esclusa. I giovani furono attratti dalla politica, soprattutto dal sogno della rivoluzione. Grandi correnti politico-ideologiche del Novecento si sono alimentate di questo mito, quasi mai portato a termine, o realizzato con esito fallimentari e tragici. Valgano, per questo, gli esempi del comunismo realizzato in Unione Sovietica, del nazismo in Germania e del fascismo in Italia. Anche i sistemi democratici affermatisi dal 1945 hanno goduto dell’impegno, dell’entusiasmo e della partecipazione dei giovani. La militanza, il volontariato, le scuole per preparare le classi dirigenti locali e nazionali, erano altrettante declinazioni del “fare politica”. Direi di più. Direi che per alcuni decenni (fino agli anni Ottanta) a essere attratti dalla politica erano soprattutto i giovani più in gamba, i più generosi, fiduciosi nel futuro e nelle proprie capacità. Era la cosiddetta “Meglio Gioventù”. Se oggi le cose sono cambiate, se i giovani migliori non mostrano alcun interesse per le cose della politica, il problema dovrebbe essere in cima alle preoccupazioni della politica stessa, come un’amara conferma che la mutazione genetica compiuta – fine delle ideologie, tv al posto della piazza, “contratti di governo” in luogo di programmi politico-culturali – ha ridotto la politica stessa a un mestiere e a una pratica privi di appeal».

 

Il Rapporto Giovani del 2018 dell’Istituto Toniolo rileva che il 40% dei giovani italiani non si riconosce in alcuna parte politica. Questa disaffezione può essere considerata il frutto delle politiche dei decenni passati o il riflesso dell’attuale classe politica?

«La verità credo stia nel mezzo. Da un lato, tale disaffezione è figlia delle pessime eredità lasciate dalle forze politiche tradizionali, figlie del Novecento e di ideologie finite tristemente sotto le macerie di fallimenti politici e di inchieste giudiziarie (in Italia Mani Pulite). Ma sulle macerie di quella crisi, i partiti nati all’insegna del “nuovismo”, rifiutando e rinnegando in toto le rispettive tradizioni, hanno proposto una politica figlia di niente e di nessuno; tifoserie al posto dei militanti; talk show televisivi al posto della presenza sul territorio, kit del candidato al posto dei corsi di formazione… Aggiungo che, pur tra mille contraddizioni che determinarono la crisi della sua forma-partito, anche il venir meno del partito di ispirazione cattolica ha lasciato un vuoto non più colmato. Gli elettori della Democrazia cristiana hanno preso altre direzioni, ma il problema della presenza dei cattolici in politica – valori e princìpi da tutelare, dalla difesa della vita alla libertà educativa – è tuttora insoluto».

 

Come si può invertire questa tendenza? È più importante che i giovani trovino una proposta politica che ritengono degna o che si investa prima sulla loro formazione, come avviene con le “scuole di politica”?

«L’ideale sarebbe la creazione di scuole di politica (di cultura politica) che forniscano ai giovani studiosi chiavi di lettura e diversificate opzioni. Ma il problema resta. Non solo scuola e università pubbliche non fanno alcun investimento in questo settore nevralgico, ma nemmeno i singoli partiti sembrano sensibili su questa esigenza. A costo di sembrare nostalgico, ricordo che nella tanto vituperata Prima Repubblica, i partiti più grandi e popolari consideravano prioritario quel tipo di investimento, le classi dirigenti nascevano proprio in quelle scuole, dal “Gramsci” del partito comunista allo “Sturzo” della Dc. C’erano decine di riviste di approfondimento, numerosi convegni anche nei periodi estivi, mille iniziative nelle sezioni, per gli studenti delle superiori, nelle università».

 

Sul piano comunicativo, è possibile che una classe politica che negli ultimi anni ha inasprito sempre più i toni, adottando talvolta un linguaggio più vicino al volgo che alla diplomazia, possa aver provocato un certo dissenso nei giovani potenzialmente interessati alla politica, che di essa non percepiscono più il prestigio?

«Certamente la politica, oltre al fascino, ha perso anche molte quote di prestigio, di autorevolezza e di credibilità. Ma ha perduto anche buona parte del suo potere. È come se avesse dimenticato (forse per impreparazione dei suoi dirigenti) che la sua fonte di legittimazione, cioè il voto dei cittadini, le fornirebbe comunque la primazia su tutti gli altri poteri economici e finanziari, bancari e commerciali – che invece pare dettino legge nei confronti di una classe politica inadeguata perché incolta, improvvisata perché priva dei fondamentali (per usare un termine calcistico). È come se si pretendesse di insegnare lettere antiche senza saper usare correttamente il nostro congiuntivo. Risse e contrapposizioni, insulti reciproci, continue liti tra avversari (e tra partiti alleati) a mio giudizio non sono la causa della crisi, sono piuttosto la conferma quotidiana della sua gravità».

 

Cosa si può prevedere o sperare per il nostro futuro? È possibile avere fiducia nonostante la crisi presente sia così profonda, come lei ha confermato con le sue risposte?

«Fare previsioni è difficile. Probabilmente l’attuale fase di transizione non finirà tanto presto. Transizione verso dove? Qui subentra la speranza. Prima o poi sarà indispensabile affidarsi a gruppi politici che meglio sapranno interpretare il presente e, soprattutto, proporre un’idea convincente di futuro (un tempo si sarebbe parlato di bene comune e di visione del mondo). Ebbene, risulterà vincente la proposta che saprà convincere e coinvolgere i giovani migliori, disposti a rimboccarsi le maniche e a impegnarsi. Conquistare credito e fiducia non sarà semplice perché, agli occhi della Meglio Gioventù, la proposta vincente dovrà venire da persone politicamente preparate e culturalmente attrezzate. Ma più ancora: moralmente inattaccabili».

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