Aiuto, dov’è lo smartphone?!?

Si chiama "nomofobia" la paura di rimanere senza cellulare. Uno dei tanti modi in cui si esprime il complesso rapporto tra adolescenti e nuove tecnologie

Ore 7:25 di un giorno feriale, prima dell’epidemia di Covid-19. Treno regionale diretto alla Stazione Roma Termini. Il vagone è affollato, come ogni mattina, da adulti che si dirigono a lavoro e adolescenti in cammino verso le scuole nella parte più centrale della città. Tutti hanno il capo chino sul proprio smartphone. I ragazzi scorrono le chat per commentarle tra loro o ingannano il tempo con Instagram. Anche la maggior parte degli adulti ha gli occhi incollati sullo smartphone, tra le chat e le notizie del giorno, ma alcuni chiacchierano a gruppi di due o tre, altri leggono un libro.

Lo smartphone è ormai diventano uno strumento imprescindibile nelle nostre vite. Ma se negli adulti questo non travalica lo stato di “strumento” che ha lo scopo di potenziare le comunicazioni interpersonali, negli adolescenti corre il rischio che il suo utilizzo arrivi, col tempo, a sostituire del tutto la comunicazione faccia a faccia e a influenzare le relazioni. Il rapporto con la tecnologia andrebbe costantemente monitorato. Essa offre praticità e comodità irrinunciabili, ma non si possono coprire gli occhi di fronte agli effetti provocati.

 

Gli adolescenti sono la fascia di età che trascorre più tempo connessa a questi dispositivi. Secondo il report EUKIDS Italia, su un campione di 1006 giovani dai 9 ai 17 anni, i ragazzi trascorrono su internet in media 2,6 ore al giorno, se non distinguiamo il genere. Secondo i dati della Società Italiana di Pediatria, il numero di ore che gli adolescenti trascorrono online è in costante aumento. La percentuale di adolescenti (età intesa tra gli 11 e i 17 anni) che naviga quotidianamente su internet è passata dal 56% del 2014 al 72% del 2018. Le ragazze sembrano connettersi maggiormente (87,5%). Inoltre il 60% dei ragazzi del campione ha dichiarato di controllare lo smartphone come ultima cosa prima di addormentarsi e come la prima al mattino.

Ciò che spesso si trascura è che, soprattutto per questa fascia d’età, lo smartphone non è soltanto un mezzo per informarsi, navigare su internet, farsi indicare la strada, trovare una ricetta. È diventato il primo modo per comunicare, intorno al quale si costruiscono e si evolvono le relazioni, che sono reali.

 

La distinzione tra virtuale e reale non esiste, giustamente, per gli adolescenti. Ciò che avviene nel digitale non è virtuale, ma incide sui rapporti tanto quanto quello che avviene di persona. Le conversazioni possono avvenire di persona, tramite telefonata, o più spesso, tramite messaggi vocali e testuali, senza che questi ultimi abbiano meno peso degli altri. Per gli adolescenti non c’è separazione tra reale e virtuale, tra offline e online, come verrebbe da pensare alle generazioni precedenti. Questi due mondi sono strettamente collegati e hanno entrambi effetti e ricadute sull’altro. I social media, secondo questa concezione, diventano fondamentali per creare e alimentare amicizie e relazioni. L’antropologa giapponese Mizuko Ito, insieme ad altri studiosi, scrive, nel testo Hanging Out, Messing Around, and Geeking Out: Kids Living and Learning with New Media, che l’online e l’offline non sono mondi separati, ma situazioni differenti all’interno delle quali entrare in contatto con gli amici e i pari.

 

La comunicazione mediata da uno strumento digitale manca degli elementi metalinguistici propri della conversazione vis-a-vis, che vengono tipicamente racchiusi negli insiemi della comunicazione para-verbale e non verbale. Le chat e le comunicazioni digitali sono infatti prive di segnali di feedback immediati. Ad esempio, comunicare una notizia importante o dolorosa al proprio amico o al proprio partner tramite un messaggio testuale è estremamente diverso dal farlo di persona. Solo in questo secondo contesto si può avere una reale reazione emotiva e istantanea, priva di elaborazioni, mediante la quale sarebbe possibile regolare e modellare il proprio linguaggio. Nelle chat questa dinamica lo scambio è invece frammentato e interrotto: i protagonisti si ritrovano a esprimere il proprio messaggio ricevendo risposte parziali e a intermittenza.

 

Per molti giovani, il proprio smartphone è diventato un prolungamento del proprio corpo, dal quale difficilmente si separano, se non per brevissimi intervalli. Secondo diversi studi, per alcuni giovani si arriva a provare una sensazione di ansia quando ci ritrova senza di esso. Questo fenomeno è stato definito da alcuni psicologi “nomofobia”, che sta per “no-mobile phobia”, e con esso si intende quella paura della disconnessione, di non poter usare il telefono, rimanendo non aggiornati nel mondo digitale.

Da questi studi emerge che gli smartphone, e in generale la tecnologia digitale, stanno mutando il nostro modo di socializzare e rapportarci ma, a oggi, non sono ancora note le dimensioni di questo fenomeno, dato che le ricerche si basano sulle autovalutazioni degli intervistati. Ad esempio, sul tempo trascorso nell’uso dello smartphone, l’adolescente deve fornire autonomamente una propria stima, poiché il ricercatore non può effettuare una misurazione precisa.

Il rapporto tra giovani e nuove tecnologie è mutuale: i media digitali generano nuove forme per soddisfare gli utenti; i giovani contribuiscono in prima persona alla creazione di contenuti di cui fruire. L’uso delle tecnologie digitali da parte degli adolescenti è strettamente connesso a motivazioni di tipo sociale e relazionale e contribuisce all’evoluzione dei rapporti e alla costruzione di opinioni.

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