Libertà è partecipazione. I giovani, la sfiducia nell’informazione e nelle istituzioni, il disimpegno

I giovani oggi sono sempre più disinteressati alla vita pubblica ed esprimono una grande sfiducia nella comunicazione politica, pur essendo la parte della popolazione più istruita e interessata ai grandi temi

Attualmente i giovani italiani portano sulle loro spalle un bersaglio che li identifica come “generazione in crisi”, indicando con questa espressione il vacillare dell’impegno che aveva caratterizzato le generazioni precedenti all’interno dell’ambito politico. Ma le generazioni di giovani che si sono susseguite, pur modificandosi nell’aspetto, mantengono l’identità data dalla stagione di vita che li va a definire. La giovane età infatti è per definizione una fase all’interno della quale l’identità del soggetto si ridefinisce, sia in relazione agli altri che in termini di crescita personale. Tale condizione non giustifica la crisi, ma in qualche modo la pone in relazione all’attualità in cui questa è inserita, costrette le giovani generazioni a crescere in un contesto socio-economico e istituzionale estremamente volubile, critico, e marcato di incertezza non solo identitaria, ma soprattutto valoriale.

«Il disinteresse, così diffuso, delle nuove generazioni nei confronti della politica è fenomeno abbastanza nuovo. Nel secolo scorso le cose erano profondamente diverse. A ridosso della prima guerra mondiale, in tutto l’occidente europeo i neonati partiti di massa seppero coinvolgere molti giovani. […] Era la cosiddetta “Meglio Gioventù”. Se oggi le cose sono cambiate, se i giovani migliori non mostrano alcun interesse per le cose della politica, il problema dovrebbe essere in cima alle preoccupazioni della politica stessa, come un’amara conferma che la mutazione genetica compiuta – fine delle ideologie, tv al posto della piazza, “contratti di governo” in luogo di programmi politico-culturali – ha ridotto la politica stessa a un mestiere e a una pratica privi di appeal». Così raccontava all’interno di un’intervista, a cura di Paolo Rosi per Young4young, Mauro Mazza, giornalista e scrittore, già direttore di Tg2, RaiUno, e RaiSport.

Ecco dunque che la partecipazione a quella che è la sfera politica si è fatta per i giovani sempre più sfocata, tanto che sono stati etichettati come “generazione invisibile” all’interno della dialettica politica.

Partecipazione, in primo luogo, presuppone la necessità di informarsi in merito all’ambito all’interno del quale si sta andando a partecipare attivamente come cittadini. Dunque è di fondamenrtale importanza, prima di addentrarci nell’informazione all’interno del particolaristico ambito della politica, vedere come si informano le nuove generazioni in ambito più generalistico.

Il 95% degli under 30 fruisce quotidianamente della Rete e il 60% è di fatto sempre connesso a Internet. È il dato che emerge da un’indagine dell’Istituto Demopolis sui giovani e l’informazione in Italia, voluta dall’ordine dei giornalisti, in occasione del Premio Mario e Giuseppe Francese. L’indagine ha analizzato le variabili che orientano la dieta informativa dei giovani italiani tra i 18 e i 29 anni, focalizzando gli strumenti impiegati nel vissuto quotidiano per l’informazione, il multi-tasking e le aree tematiche di maggiore interesse per le nuove generazioni.

«La centralità delle Rete incide in modo significativo sulle modalità d’informazione delle nuove generazioni», ha spiegato il direttore di Demopolis Pietro Vento, alla presentazione della ricerca. «La ricerca di Demopolis mostra come i giovani siano interessati al giornalismo e alla sua funzione  fondamentale per una corretta informazione dei cittadini, con particolare riferimento al giornalismo di inchiesta». Lo afferma Carlo Verna, presidente del Consiglio Nazionale dell’ Ordine dei Giornalisti. «È un dato che ci  conforta in questa fase in cui abbondano fake news, linguaggi di odio soprattutto via web e dove si cerca di neutralizzare la funzione del giornalismo come “cane da guardia” della democrazia. Ritengo che compito essenziale deigiornalisti  sia e resti quello di raccontare i fatti senza non fare sconti a nessuno, a nessun governo (di qualsiasi colore) a nessun potere (comprese le grandi piattaforme di internet)».

Dunque i social media in qualche modo sono ritenuti più affidabili della carta stampata, la virtualità rimanda un immagine più pulita e meno coinvolta, quasi che la non materialità possa depurare chi vi inserisce informazioni di qualsiasi tendenza  di parte. Infatti dei media italiani, a quasi i 2/3 dei giovani intervistati, non piace la faziosità dell’informazione politica; il 56% stigmatizza la scarsa obiettività, il 48% la superficialità di molte notizie. I media tradizionali sono dunque percepiti dagli under 30 come più affidabili rispetto ai social network.

Ma c’è chi sta peggio, come rilevano i dati dello studio del Pew Research Center di Washington, i quali si basano su un campione di 42mila risposte ottenute in 38 Paesi tra il 16 febbraio e l’8 maggio dell’anno scorso. Per l’Italia la fiducia nelle notizie che riguardano l’azione del Governo è al 46%, anche qui se ci concentriamo sull’Europa e peggio di noi c’è solo la Grecia. Meglio invece, curiosamente, l’informazione sugli esteri e quindi sugli eventi mondiali, della quale il 60% degli italiani si dice soddisfatto. Alzando lo sguardo nella parte alta della classifica, sette cittadini su dieci di Canada, Germania e Paesi bassi approvano il lavoro dei giornalisti di stampa e tv. Si scende al 66% per la Svezia, al 52% per la Gran Bretagna e al 47% per la Francia. Altra fonte sono i dati raccolti dal “Rapporto giovani” dell’Istituto Toniolo, realizzato dal 2 al 13 luglio 2018 su un campione di oltre 2mila giovani tra i 20 e i 34 anni, che mostrano come chi assegna voto positivo al governo sia poco più di un giovane su tre. Sotto tale percentuale si collocano i partiti, le banche e i sindacati, ma anche i social network (che appaiono screditati da oltre due giovani su tre).

A tale carenza d sfiducia nelle noizie che riguardano l’azione del Governo si va ad aggiungere il clima di quotidiano bombardamento di notizie al quale siamo sottoposti. «Se oggi mettiamo insieme le notizie dei principali giornali italiani, le fake news, i giornali con i loro titoloni, siamo bombardati dalla stessa notizia, ma proposta in 50mila modi diversi, quindi ci sta che ci sia chi si stacchi da questa tipologia di comunicazione, da questa realtà di notizie infinita. L’unica cosa che direi, ed è l’unica cosa che provo a fare anche io nella normalità, è guardarsi attorno, fare un attimo di approfondimento, individuare dei soggetti, dei giornalisti, dei giornali che abbiano una visione del mondo, della realtà, bene o male simile alla propria, poi seguire quei canali in modo tale da non essere bombardati da 50mila notizie, ma soprattutto avere sempre cognizione di causa su quello che si legge. È qui la differenza. Sono informato se ho un pensiero critico costruito bene, se ho una visione oggettiva di quello che sto leggendo e lo affronto con senso critico. Il fatto è che molto spesso la gente non ha senso critico e non è nemmeno obbligata ad averlo. Bisogna trovare dei fari nella notte, ma continuare a guardarli e seguirli con senso critico, perché magari un giorno dovrai cambiare faro, cambiare punto di riferimento». O almeno, questa era la soluzione secondo Matteo, che ci aveva raccontato la storia del suo podcast divulgativo.

Già dal mondo di informarsi dunque si nota chiaramente come la fiducia nelle istituzioni sia a livelli molto bassi. È quasi scontato che tale sentimento si riversi all’interno della politica. Anche perchè, seppur meno partecipi alla vita pubblica, i giovani sono molto più informati riguardo a ciò che accade nel mondo.

La disaffezione dei giovani rispetto alla vita pubblica e alla politica è sicuramente causata poi dall’essere inseriti in una società avvezza a puntare il dito (si veda il ruolo mediatico della figura dei giovani nelle recenti movide), ma che nei confronti di chi si affaccia alla vita adulta promette poco e mantiene niente. Ci si rifugia dunque nel volontariato, nella lotta per l’ambiente, nei dibatitti sui social. Vi è infatti un lato positivo. Nonostante le condizioni in cui si trovano i giovani italiani (si pensi al record di Neet in Europa), la grande maggioranza dei giovani guarda con fiducia alla scuola, all’impegno sociale nel volontariato, all’intraprendenza delle piccole e medie imprese, alla ricerca scientifica e all’innovazione. Ovvero nei contesti in cui si è messi nelle condizioni di imparare e fare, aspetto che la politica dovrebbe implementare.

Disse Bertolt Brecht, drammaturgo, poeta, regista teatrale e saggista tedesco: «Il peggior analfabeta è l’analfabeta politico. Egli non sente, non parla, né s’interessa degli avvenimenti politici. Egli non sa che il costo della vita, il prezzo dei fagioli, del pesce, della farina, dell’affitto, delle scarpe e delle medicine, dipendono dalle decisioni politiche. L’analfabeta politico è talmente somaro che si inorgoglisce e si gonfia il petto nel dire che odia la politica. Non sa, l’imbecille, che dalla sua ignoranza politica nasce la prostituta, il minore abbandonato, il rapinatore e il peggiore di tutti i banditi che è il politico disonesto, il mafioso, il corrotto, il lacchè delle imprese nazionali e multinazionali».

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