25 Gen 2021

Il mercato delle schiave durante la pandemia

Come si è rimodulata la piaga della tratta delle donne durante la pandemia Covid-19? Parlano a Young4Young Francesco Carchedi, studioso del fenomeno, e Abby, ex vittima di sfruttamento sessuale

La violenza sulle donne è un fenomeno che riguarda globalmente una donna su tre. Si tratta di una problematica di cui si parla sempre più spesso, e che è entrata da tempo a far parte della sensibilità della società civile e politica, come può dimostrare l’impegno nella lotta al fenomeno durante l’emergenza Covid 19

C’è però un aspetto particolare di questa piaga sociale che non porta con sé altrettanto clamore: la violenza che ha come protagoniste le donne migranti, vittime dello sfruttamento sessuale.

Che risvolti ha avuto il fenomeno del traffico di donne in questo periodo di crisi sanitaria? Da dove inizia il viaggio delle vittime coinvolte?

Per meglio comprendere la questione Young4Young ha raggiunto il Dottor Francesco Carchedi, studioso del fenomeno, e Abby, ex vittima della prostituzione coercitiva.

 

“Prevenire e combattere la tratta di esseri umani è ancora più importante oggi, soprattutto nei contesti dove la pandemia del COVID-19 aumenta la fragilità economica e sociale, esponendo i più deboli a pericolose occasioni di violenza e violazione dei diritti”

Marco Chiesara, presidente di WeWorld 

 

Cos’è la tratta

Secondo l’articolo 3 del Protocollo di Palermo, per tratta di persone si intende il reclutamento, il trasporto/trasferimento, l’alloggio/accoglienza di persone tramite l’uso/minaccia della forza e altre forme coercitive; [..] ma anche la frode, l’inganno/le false promesse e l’abuso di potere […] quale messo di futuro asservimento/sfruttamento. 

Un tale trattamento va a ledere in modo significativo aspetti importanti come la sicurezza e la dignità di una persona, e si sviluppa con facilità in circostanze di guerre o in situazioni di crisi, come può esserlo un contesto pandemico

 

Al fine di comprendere in modo più preciso il fenomeno, inserito questo in un periodo pandemico, abbiamo parlato con il Dottor Francesco Carchedi, docente presso il dipartimento di scienze sociali – politiche e scienze del servizio sociale, consulente del Dipartimento delle Pari Opportunità (DPO), Presidenza del Consiglio, per interventi di protezione delle vittime di tratta a scopo di sfruttamento sessuale, lavorativo ed accattonaggio. Da qualche anno collabora con l’Osservatorio Placido Rizzotto – Flai CGIL alla redazione del Rapporto “Agromafie e Caporalato”, nonché al Progetto INCIPIT della Regione Calabria sull’emersione e protezione delle vittime di sfruttamento a livello regionale. 

 

Covid-19

Anche secondo il rapporto di Save the Children, Piccoli Schiavi Invisibili, la pandemia COVID-19 ha avuto gravi conseguenze sul fenomeno tratta: è infatti avvenuto uno spostamento dalle strade all’online o indoor, ovvero all’interno di appartamenti adibiti.

Questo spostamento comporta per le ragazze un un forte aumento del pericolo, perché i trafficanti hanno creato, all’interno appunto di luoghi chiusi e sui social, un ambiente per loro più sicuro e anonimo. Le ragazze si trovano inoltre sempre più isolate, la loro identificazione e resa quasi impossibile. Di conseguenza si rende difficile anche la fuoriuscita dalla tratta stessa.

Ma la pandemia non fa altro che aggravare un fenomeno che persiste da tempo.

Quali sono i flussi principali della tratta?

Dai dati ufficiali prodotti dal DPO, insieme a quelli forniti dai servizi anti tratta diffusi sul territorio nazionale, si legge che il gruppo nazionale maggiormente coinvolto è quello composto da donne nigeriane.

 

 


L’identikit delle vittime
è il seguente: sempre più giovani, scarsamente scolarizzate e provenienti da contesti fortemente disagiati, tra i 15 e i 18 anni, ma con una quota crescente di bambine tra i 13 e i 14 anni. Una delle città di partenza è Benin City

Il ciclo della tratta nigeriana si svolge secondo tappe che si ripetono in uno schema tipo: le ragazze vengono reclutate nei paesi di provenienza, e vengono convinte a partire tramite riti woodoo o ju-ju. Inizia il loro viaggio, che ha molto spesso come tappa intermedia la Libia, prima dell’arrivo nei paesi all’interno dei quali dovranno esercitare la prostituzione su strada.

Tale ciclo viene interrotto quando (dove accade) le ragazze vengono raggiunte dai servizi dedicati al loro aiuto, che le accompagnano ad una fuoriuscita dal fenomeno. Ne vedremo alcuni, localizzati in territorio italiano.

Young4Young ha raggiunto una ragazza che, nonostante ancora abbia timore di ritorsioni da parte dei suoi aguzzini, non lavora più sulla strada, e ha deciso di aiutarci a comprendere come si svolge il percorso che sradica una ragazza dal territorio di nascita per portarla nel mercato della prostituzione.

La chiameremo Abby.

 

Il reclutamento

Abby è una ragazza di origini nigeriane che ora vive a Torino, ha un lavoro, e cerca una serenità quotidiana. Ma non è sempre stato così. La sua vita in Nigeria è radicalmente cambiata da quando le si è avvicinata una donna, una mamam.

Ci racconta: “La mia era una situazione brutta. Mio padre, soldato, era morto quando era piccola. Mia mamma, dopo la sua scomparsa, aveva deciso di far sposare mia sorella maggiore e di avviare un suo business personale, per poter procurare da mangiare a lei e a me”.

Ci racconta, poi, che alla morte della madre, a causa di un incidente stradale, Abby si è ritrovata sola e senza appoggio. Inizia allora a lavorare, con l’obiettivo di mettere da parte dei soldi per finire la scuola. Lì il primo incontro: “Un giorno venni avvicinata da un uomo. Avevo problemi economini seri, lui mi offriva aiuto e del cibo, ma questo solo se avessi acconsentito a dormire con lui.”

Subito successivo è l’incontro con la mamam, che la avvia Abby al ciclo della tratta. Ma cos’è una mamam?

Questa figura viene definita, dall’Osservatorio Interventi Tratta, come la trafficante che gestisce le vittime di tratta a scopo di sfruttamento sessuale, alla quale devono ripagare il debito contratto prima di lasciare il paese di origine. Si tratta, molte volte, di una ex vittima di tratta, che dopo aver finito di pagare il proprio debito, decide di arricchirsi con il traffico che in passato la aveva resa vittima. Convincono le ragazze a indebitarsi per partire promettendo loro un miglioramento della loro condizione sociale: una volta giunte in Europa promettono lavori come balie o cameriere. 

I numeri sono elevati. Riporta Al-Jazeera: “le prove raccolte in Nigeria da suor Eugenia Bonetti, riconosciuta a livello internazionale come forza trainante nella lotta alla tratta di esseri umani, suggeriscono che una donna su tre a Benin City, in Nigeria, sia stata avvicinata da trafficanti locali che promettono loro inesistenti posti di lavoro se vanno in Europa”.

 

Il rito Woodoo o Ju-ju

Abby continua: “Dopo aver accettato il prestito dalla mamam, lei voleva assicurarsi glielo avrei restituito. Allora mi portò a fare un rito. Inizialmente non volevo, ma per partire non avevo scelta”.

Il rito di cui parla Abby è il rito ju-ju, accompagnato da numerose minacce: nel caso non avesse restituito i soldi, avrebbero ucciso sua sorella maggiore, restata in Nigeria.

Ma di cosa si tratta nello specifico? Come detto, le ragazze accettano di indebitarsi con la mamam, ma insieme al peso del debito vengono soggiogate psicologicamente tramite dei riti tribali. Se non salderanno il debito verranno maledette, e questo porterà loro sventura, infertilità. I riti hanno lo scopo principale di evitare che, una volta giunte al paese di destinazione, queste possano fuggire senza aver saldato il conto.

Vi è però uno spiraglio. Scrive il Post: “lo scorso 9 marzo (2018) Ewuare II, sovrano di uno stato del sud della Nigeria e massima autorità religiosa locale, conosciuta anche come “oba”, ha celebrato un rito contro chiunque promuovesse l’immigrazione illegale nei suoi territori”. In questo modo l’oba ha annullato i riti voodoo che costringevano alla schiavitù sessuale le donne vittime della tratta di esseri umani. Si tratta di un evento descritto come fondamentale e positivo dalle associazioni che si occupano di tutelare e assistere le donne vittime dello sfruttamento sessuale, e che sta già avendo delle conseguenze anche nel nostro Paese. Molte ragazze si sono sentite, infatti, liberate dal peso del rito, e sono di conseguenza più propense a cercare una via di fuga dall’assoggettamento della mamam.

 

Il viaggio

Dopo il rito per Abby è iniziato un lungo viaggio, alla volta delle coste della Libia.

Le rotte dei migranti dall'Africa all'Italia

Mappa a cura di: Associazione Medici per i Diritti Umani

Secondo la ricerca Parsec – UNICRI, e come riporta anche il professor Carchedi all’interno del suo libro Vite Capovolte, il viaggio viene effettuato lungo le piste desertiche che da Benin City arrivano fino al Mediterraneo magrebino passando per la Regione di Agadez (in Niger), in quanto rappresentano la direttrice verticale che conduce nel Fezzan, la regione desertica libica che attraversa la Tripolitania, per poi raggiunge Tripoli. L’attraversamento della frontiera avviene per mare o per via terra, anche percorrendo il deserto in direzione di Tangeri (in Marocco) o del Cairo (Egitto) e in qualche caso Istanbul e Atene.

Prima di giungere a destinazione le ragazze transitano per la Libia, all’interno di quelle che sono definite connection house, case chiuse dove sono costrette alla prostituzione. Alcune sono localizzate anche in Italia.

 

 

“Dormivo su un materasso sul pavimento del bordello e potevo uscire solo per prostituirmi… Se infrangevo una qualsiasi regola, la mamam mi picchiava con una bottiglia di vetro rotta.”

Blessing Johnson, vittima della tratta

 

L’arrivo in Italia e la prostituzione

Abby ci ha parlato di un viaggio lungo, segnato da molte tappe. Il suo si concluse in Sicilia. Le avevano affidato un numero da chiamare una volta arrivata. Chi avesse risposto l’avrebbe scortata a Torino, cosa effettivamente avvenuta. Abby ha così iniziato a lavorare per strada. “Non potevo tenere alcun guadagno per me. Ogni volta che provavo a chiamare casa, o dicevo di voler sentire mia sorella, venivo minacciata di morte dalla mamam o dai suoi uomini”

Questo è il modo in cui le donne giungono in Italia, dove sono avviate all’attività della prostituzione. 

 

I centri di aiuto e l’integrazione

Abby ora è libera, non sta più sulla strada, ma vive sola e ha un lavoro che le permette di guadagnare. Non si sente ancora sicura, teme ancora le persone che in passato le hanno fatto del male, ma sta ricostruendo la sua vita.

Per combattere la tratta delle donne esistono, infatti, numerose associazioni, come papa Giovani XXIII, comunità impegnata per contrastare l’emarginazione e la povertà. Uno dei loro progetti si chiama Anotherskin, e nasce con l’obiettivo di dare alle ragazze, vittime di tratta, una possibilità di vita attraverso l’accoglienza e l’acquisizione di una nuova professionalità. “Questo progetto ─ dice Giovanni Paolo Ramonda, direttore generale della comunità Papa XXIII ─ permette alle ragazze che prima erano per strada di poter vedere il futuro, di sviluppare un percorso di lavoro che può permettere loro di crearsi una famiglia, di vivere nella società civile come qualsiasi altra persona, con dignità”.

 

Un altro progetto da segnalare è Vie d’Uscita, che mira a rafforzare la tutela di minori e giovani adulti, ragazze e ragazzi in pericolo o vittime di tratta e sfruttamento sessuale attraverso due azioni: l’attivazione di percorsi di uscita dai circuiti dello sfruttamento e l’accompagnamento verso l’autonomia economica, sociale e abitativa.

Qui il documentario Afraid of Destiny, testimonianza che non racconta solo il fenomeno fin qui trattato, ma lo spiega attraverso i volti e le storie di chi è stata vittima di tratta. 

condividi su