La pandemia di Covid-19 non ha causato vittime non solo a livello sanitario, ma in quasi tutti i settori della società, principalmente l’economia. Le misure di contenimento adottate da quasi tutti i Paesi del mondo dalla comparsa di questo virus hanno costretto molte economie ad operare a bassa velocità. Le conseguenze negative non si sono fatte attendere.
Partiamo dalla perdita di guadagni delle aziende per arrivare al calo degli stipendi dei dipendenti o addirittura al loro licenziamento. Il Global Wage Report 2020-2021 prodotto dall’Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO) dipinge un quadro cupo della perdita di posti di lavoro. Si annuncia «la perdita stimata del 12,1% dell’orario di lavoro nel mondo – ovvero 345 milioni di posti di lavoro a tempo pieno – per il terzo trimestre 2020 rispetto al quarto trimestre 2019».
Il rapporto cita anche lo studio condotto dalla Confederazione sindacale internazionale sulla perdita di posti di lavoro a causa della pandemia. Questo studio stima che «le aziende di 87 dei 100 paesi studiati [sia l’87%] hanno licenziato i lavoratori a causa della crisi», con picchi di disoccupazione osservati in molti Paesi ad alto reddito così come nei Paesi emergenti, dove i sussidi di disoccupazione hanno generalmente a limitata copertura.
Per quanto riguarda i salari, il rapporto afferma che «nei quattro anni precedenti la pandemia COVID-19 (2016-19), la crescita dei salari globali ha oscillato tra l’1,6 e il 2,2%». Questa crescita è stata rallentata nel 2020, a causa della pandemia. Ci sono «circa 327 milioni di dipendenti [che] sono pagati pari o inferiore alla paga oraria minima. Questa cifra rappresenta il 19% di tutti i dipendenti e comprende 152 milioni di donne». I dati indicano che milioni di dipendenti hanno ricevuto a malapena il salario minimo, se non un salario inferiore al minimo; una situazione che costituisce di per sé una condizione che porta facilmente i dipendenti a vivere in uno stato di povertà o addirittura di povertà estrema.
I settori più colpiti sono il commercio, l’ospitalità, la ristorazione e altri settori in cui le donne tendono ad essere sovra rappresentate. È stato infatti rilevato che «i settori più colpiti rappresentano il 40% di tutti i lavori femminili, contro il 36,6% degli uomini». Le micro e piccole imprese, dice il rapporto, hanno pagato un prezzo pesante perché «impiegano più del 95% degli 1,6 miliardi di lavoratori dell’economia informale che sono stati pesantemente colpiti».
Il peggio è stato evitato grazie ai vari sussidi offerti dai governi di diversi Paesi, compresi quelli europei, per poter mitigare lo shock: «I sussidi sono stati ampiamente utilizzati in tutta Europa per evitare licenziamenti di massa e hanno reso possibile compensare circa la metà della perdita di personale causata dalla riduzione dell’orario di lavoro, riducendo così l’aumento delle disuguaglianze», si legge nel rapporto.
A titolo illustrativo, questa sovvenzione ha consentito a 10 Paesi europei (Belgio, Bulgaria, Francia, Ungheria, Lettonia, Portogallo, Slovenia, Spagna, Svezia e Svizzera) di dimezzare la perdita di occupazione a seguito della riduzione dell’orario di lavoro. Infatti, «mentre il 6,4% della massa salariale sarebbe andato perso a causa di una riduzione dell’orario di lavoro in questi dieci Paesi selezionati, solo il 3,1% della massa salariale è andato perso alla fine, dopo aver tenuto conto delle integrazioni salariali, indicando che circa il 51% delle perdite di massa salariale causate dalla riduzione dell’orario di lavoro sono state salvate grazie alle integrazioni salariali».
Se non fosse stato per questi sussidi, la situazione sarebbe stata disastrosa. Prova che indica la necessità della presenza continua dello Stato nel trattamento salariale dei dipendenti definendo ad esempio il salario minimo, che tutti i datori di lavoro devono obbligatoriamente rispettare. Lo stesso rapporto, basato sui dati raccolti su 41 paesi che coprono Africa, Asia, Europa e America Latina, afferma che «migliorare la copertura e l’applicazione del salario minimo e aumentare il livello, per esempio, a due terzi della mediana hanno il potenziale per ridurre la disuguaglianza di reddito».
Con il Covid-19 si riducono drasticamente le speranze di raggiungere l’ottavo obiettivo di sviluppo sostenibile entro il 2030. Speriamo che le campagne di vaccinazione contribuiscano a contenere rapidamente questo virus, in modo che il ritmo normale possa essere ripreso, perché è in gioco la vita di milioni di persone, che sono costrette a sopravvivere con i magri stipendi che ricevono durante questo periodo di pandemia.