A spiegarlo sarà Maurizio Di Veroli, ingegnere di grande esperienza e branch manager del progetto Italferr (società di ingegneria del Gruppo Ferrovie dello Stato Italiane) iniziato nel 2019, che per i prossimi 5 anni curerà la progettazione e la manutenzione di 60 chilometri di ferrovie e linee di metropolitane nelle città indiane di Agra e Kanpur. Si prevede la sua supervisione ai lavori di 57 stazioni e 4 depositi. Dall’inizio della pandemia, si è trovato a dover condurre tutto ciò dall’Italia attraverso lo schermo di un computer invece che fisicamente sul campo.
Cosa vuol dire essere il branch manager di una società italiana in un progetto così importante svolto all’estero?
«L’aspetto di essere il responsabile di una branch passa dal costruire una realtà che non c’è e darle delle basi solide su cui prendere forma. Questo riguarda tante dimensioni come quella commerciale, logistica, amministrativa, legale e prettamente gestionale dei progetti. Oltre a queste hard skills ci sono anche le soft che riguardano lo stabilire uno spirito di squadra con colleghi e collaboratori e instaurare legami che entrino nel vivo delle varie culture. Sono tanti elementi da mantenere insieme per mandare avanti il tutto. È entusiasmante ma allo stesso tempo sfidante».
Data la diversità tra la cultura indiana e quella italiana, ha mai riscontrato problemi o, al contrario, aspetti positivi?
«Fondamentalmente bisogna sempre avere una grandissima apertura verso la diversità, che è un enorme valore, ma spesso rappresenta una difficoltà aggiuntiva nella sensibilità degli aspetti culturali. In India, per esempio la cultura è tanto lontana dalla nostra, una cultura basata su una società delle caste che condiziona molto la relazione tra le persone e quindi la comunicazione tra di loro».
Come si trova a comunicare con i suoi collaboratori indiani, divisi da una così grande distanza, rispetto alla normalità del suo lavoro sul posto prima della pandemia?
«Non è proprio il massimo, la comunicazione virtuale in generale non lo è perché fa perde proprio il fattore fisico e quello delle relazioni personali. In particolare, con gli indiani è abbastanza importante avere una relazione personale perché culturalmente sono abituati ad essere divisi in chi da ordini e chi li riceve, in base alle caste. Siccome io non sono un indiano e non sono abituato a dare semplicemente ordini, sono abituato a cercare di creare un coinvolgimento attivo con loro anche a livello personale. Quindi in questo la comunicazione è importante e, cercare di trasmettere questo coinvolgimento davanti uno schermo non è affatto semplice e spesso non ci si riesce».
Tra l’Italia e l’india ci sono circa quattro ore e trenta di fuso orario, non sarà di certo facile far coincidere sempre gli orari di lavoro.
«Comincio a leggere le mail alle cinque e trenta del mattino solitamente, finché si tratta di riunioni interne si riesce a concentrare la programmazione in orari comodi sia in Italia che in India. Quando invece si parla di riunioni con i clienti o riferimenti locali, non è sempre possibile. Ad esempio, riunioni alle sei e mezza del mattino, chiamate all’improvviso di lavoro mentre sono a tavola a mangiare un piatto di pasta, richieste dall’Italia verso l’india urgenti nel nostro pomeriggio che per loro sono a notte inoltrata e grandi differenze nel calendario delle festività che non coincide affatto tra i due paesi. Infatti, sfortunatamente lavoro sempre, anche nel periodo di Natale».
Sappiamo anche che al vostro progetto non lavorate soli, ma è in partnership con società di altre nazionalità. Come riesce a gestire la comunicazione e gli accordi con loro, i clienti indiani e i suoi colleghi italiani?
«Fondamentalmente la lingua ufficiale da usare nelle comunicazioni per tutti è l’inglese. C’è comunque la difficoltà legata all’uso di una lingua che non è la lingua madre per nessuno e quindi è richiesta una maggiore attenzione ad assicurarsi che il messaggio che si vuole trasmettere sia effettivamente recepito. Devo dire che però, nonostante queste difficoltà logistiche, in questo progetto mi sto trovando bene perché, in un paese come l’India dove l’inglese è la seconda lingua parlata, le difficoltà sono minori rispetto a quelle che ho riscontrato in passato in altri paesi dove era strettamente necessario comunicazione attraverso degli interpreti».
Nel suo ambito lavorativo i suoi collaboratori e colleghi sono sempre in grado di capire l’inglese e, viceversa, farsi capire o riscontra problemi con la lingua?
«Generalmente, come dicevo prima, in India l’inglese è una lingua molto diffusa quindi la comprensione dei messaggi è piuttosto buona. Però ci sono alcuni casi in cui comunicare non è sempre semplice: l’accento e la pronuncia sono terribili (anche se con il tempo ci si abitua), spesso ricevo numerose mail in cui faccio difficoltà a capire perché all’interno dei testi sono presenti numerose parole inventate e spesso parlano per sigle e acronimi dando per scontato che l’interlocutore capisca cosa vogliano dire».
A causa della pandemia è costretto a lavorare dall’Italia in smart-working, quando si presentano dei problemi di rete, che di questi tempi sono sempre più comuni, come riesce a gestire e organizzare le varie comunicazioni?
«La capacità di trasmissione della rete spesso non è adeguata, è vero, e questo si riflette nella difficoltà di comunicazione durante le riunioni e quindi sulla completezza della comunicazione. Inevitabilmente si allungano i tempi delle riunioni, quando la rete è del tutto insufficiente ci si aiuta con altri sistemi o supporti come le videochiamate su WhatsApp, la semplice rete telefonica, che purtroppo comporta un aumento dei costi di comunicazione o, in casi estremi, ci si sposta su le chat online per scrivere ciò che non si riesce a dire nelle videoconferenze».
In molti casi la situazione che stiamo vivendo può causare sconforto a chi è costretto a lavorare tutti i giorni dall’interno delle proprie case. So che per questo motivo Italferr ha messo in atto una iniziativa per mantenere alto il coinvolgimento attivo e psicologico dei propri dipendenti tramite incontri telematici con degli esperti. Ce ne può parlare più nel dettaglio?
«In realtà è un percorso di formazione orientato allo sviluppo manageriale delle risorse che passa attraverso un approfondimento della consapevolezza di sé stessi e delle diverse intelligenze o dimensioni di cui siamo composti. Se si impara a riconoscere sé stessi e i vari stati d’animo, si possono così imparare delle tecniche da mettere in atto per ritrovare il proprio equilibrio che è necessario per gestire correttamente l’attività lavorativa, così come la vita privata. Come, ad esempio, tecniche di meditazione e respirazione per imparare a combattere e gestire lo stress condotte da consulenti esterni».