«Nel mondo sono 750 milioni gli adulti analfabeti, 2/3 dei quali sono donne». È solo uno dei tanti dati che fanno riflettere sulla condizione dell’istruzione mondiale, un settore che già soffriva ancor prima dell’avvento della pandemia da Covid-19.
A fornirlo è Francesca Bilotta in un’interessante conversazione a distanza con la nostra redazione. Francesca è responsabile per la pianificazione e lo sviluppo della strategia del dipartimento dell’istruzione e direttore del Movimento Giovanile per Save the Children in Italia, per cui da maggio 2019 è anche coordinatrice del tavolo di lavoro dedicato all’Obiettivo 4 – Istruzione di qualità – all’interno di ASVIS (Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile) insieme alla “Fondazione Giovanni Agnelli”.
Nell’intervista abbiamo, appunto, parlato dello stato di attuazione dell’Obiettivo 4 dell’Agenda 2030: cerchiamo di capire con lei, a distanza di cinque anni dal lancio da parte dell’ONU (Organizzazione Nazioni Unite), qual è la situazione dell’istruzione in Italia e nel mondo.
Quali sono gli indicatori individuati da Save The Children per il monitoraggio dell’Agenda 2030?
Non abbiamo individuato nuovi indicatori di monitoraggio dell’Agenda 2030, facciamo nostra e sosteniamo la visione di sviluppo insita nell’Agenda che approcciamo attraverso la lente della Convenzione ONU sui Diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza.
E in particolare: si possono indicare concreti passi in avanti riguardo questo l’obiettivo sull’ “Istruzione di qualità”?
La formulazione del Goal 4 nel 2015, è rivelatrice di una vera e propria rivoluzione nel modo di considerare il mondo dell’istruzione. Intanto, per la prima volta tutti i traguardi da raggiungere sono stati pensati per l’insieme dei Paesi membri, senza differenziazioni in funzione del loro livello di sviluppo: scelta che investe l’insieme dell’Agenda e che risulta comprensibile dal momento che sono chiamati in causa fenomeni globali quali il cambiamento climatico o le pressioni migratorie.
Una seconda caratteristica che risalta per differenza rispetto alla precedente formulazione è l’ampiezza dell’approccio adottato, con una sfida educativa che si proietta lungo l’intero ciclo di vita: da 0 a 99 anni, nessun individuo risulta escluso.
Ma l’aspetto più innovativo che emerge dalla formulazione del Goal 4 riguarda lo spostamento di accento dalla quantità alla qualità di istruzione. Frequenza di corsi e conseguimento di titoli non sono più i risultati ai quali tendere, ma mezzi per il raggiungimento di risultati più sostanziali: apprendimenti efficaci, competenze spendibili per lavori dignitosi, conoscenze e competenze necessarie per promuovere lo sviluppo sostenibile. Si apre dunque una nuova prospettiva, con gli aspetti sostanziali dell’istruzione che prevalgono sulle sue attestazioni formali. Questo si dovrebbe tradurre in un coraggioso rinnovamento della didattica, a partire dalla ridefinizione dei programmi della formazione iniziale e in servizio dei docenti; dovrebbe anche indurre un ripensamento dei criteri di valutazione e di certificazione dei risultati conseguiti dagli studenti e costringe ad adottare indicatori inediti per il monitoraggio statistico dei progressi effettivamente realizzati. La formulazione dell’Obiettivo 4 pare adattarsi molto bene alle peculiarità del panorama italiano: l’Agenda 2030 si presenta dunque come un’ottima bussola per orientare le politiche educative del prossimo decennio poiché individua chiaramente in quali direzioni strategiche andrebbero indirizzati gli sforzi di miglioramento del nostro sistema di istruzione.
Nel mondo sono 750 milioni gli adulti analfabeti, 2/3 dei quali sono donne. In Italia permangono forti disuguaglianze tra le regioni, dovute al divario del Mezzogiorno rispetto alla media nazionale, pensiamo ad esempio alla percentuale di laureati tra i 30 – 34 anni pari al 21,6% nel Mezzogiorno, rispetto alla media nazionale del 26,9%, piuttosto che all’uscita precoce del sistema di formazione che si attesta al 18,5% rispetto alla media italiana del 14%.
Quale strada percorrere per dare seguito al raggiungimento di questo “decisivo” obiettivo dell’Agenda 2030 nel nostro paese? Innanzitutto introdurre misure economiche e strategie organizzative e didattiche volte a contenere l’esplosione delle disuguaglianze esacerbate dalla crisi pandemica, garantire una formazione iniziale aggiornata e il reclutamento del personale docente, investire nei primi anni di vita dei bambini per combattere future disuguaglianze, promuovere scuole aperte a comunità e territorio, ripensare gli spazi di apprendimento investendo in edilizia scolastica affinché siano più inclusivi oltre che più sicuri e sostenibili.
Secondo una ricerca di Save The Children oltre 561 mila ragazzi, studenti di età compresa tra i 14 e 15 anni, già prima della pandemia abbandonava gli studi in Italia nel 2019 [1]. Poi con l’avvento dell’emergenza sanitaria e la DAD (Didattica a distanza), i dati riportano che nel 2020 si è arrivati ad oltre 34 mila nuovi dispersi.
Le bambine, i bambini e gli adolescenti sono stati particolarmente colpiti dagli effetti della pandemia del Coronavirus, in particolare con la chiusura delle scuole. Il cosiddetto learning loss, il mancato apprendimento dal punto di vista delle competenze cognitive, ma anche socio-emozionali e fisiche dovuto alla condizione di isolamento, rischia concretamente di avere effetti devastanti tra i minori provenienti da contesti svantaggiati dal punto di vista economico e del capitale culturale, dove le famiglie e la comunità non hanno potuto sopperire all’assenza della scuola e farsi carico dei bisogni educativi. In Italia, infatti, nonostante molte scuole si siano mobilitate per dare continuità all’apprendimento, attraverso la didattica a distanza, un numero importante di bambine/i e adolescenti si è trovato nell’impossibilità di proseguire un percorso educativo. Questa disconnessione educativa non è stata solo causata dalla evidente impreparazione del sistema educativo ad utilizzare la didattica a distanza, ma anche dalle condizioni familiari di origine che hanno creato vere e proprie fratture all’interno dei gruppi classe.
Il dato dei 561 mila giovani, riportato nel nostro Atlante per l’Infanzia e Rischio, fa riferimento a dati ISTAT e si riferisce a coloro che abbandonano prematuramente gli studi.[2]. Il riferimento ai 34 mila dispersi, è invece una nostra stima elaborata a seguito di un’indagine condotta in collaborazione con IPSOS, che ha analizzato opinioni, stati d’animo e aspettative di studenti tra i 14 e i 18 anni ai tempi del coronavirus[3]. Dalla nostra indagine emerge come il 28% degli adolescenti intervistati (su un campione di 1000) dichiara che dall’inizio della pandemia almeno un compagno nella propria classe ha smesso di frequentare la scuola. Tra le cause principali delle assenze durante la DAD la difficoltà di connessione e la mancanza di concentrazione. Più di uno studente su 3 si sente impreparato e il 35% quest’anno deve recuperare più materie dell’anno scorso. Stanchezza (31%), incertezza (17%) e preoccupazione (17%) sono i principali stati d’animo che gli adolescenti dichiarano di vivere in questo periodo. Mi colpisce tra le cause principali delle assenze dalla DAD, vi è la difficoltà delle connessioni e la fatica a concentrarsi nel seguire la didattica dietro uno schermo, aspetto che fa riflettere su come l’apprendimento passi necessariamente attraverso la relazione educativa e vede nel “ruolo” del gruppo classe uno degli aspetti deterrenti al fenomeno della dispersione scolastica.
Dove e come si deve operare per bloccare questa emorragia che va avanti da anni.
È fondamentale investire nella scuola, in un’istruzione di qualità per tutti, finanziando la scuola come motore per la ripartenza del paese aumentando, ad esempio gli investimenti ordinari sull’istruzione pubblica con l’obiettivo di passare dal 3,9% attuale del PIL al 5%, raggiungendo così la media europea. È necessario assicurare un impegno di risorse integrative a quelle già investite nel PNRR per garantire l’offerta di tempo pieno a scuola e assicurare un progressivo ampliamento del tempo scuola su tutto il territorio nazionale, colmando i divari territoriali oggi presenti e soprattutto sostenere una scuola che favorisca la partecipazione attiva di studenti e studentesse alla vita scolastica, che favorisca il benessere scolastico a garanzia del diritto all’istruzione di qualità per tutti, rinnovando metodologie e strumenti con cui si affronta il fenomeno della dispersione scolastica in Italia: un fenomeno che va affrontato in termini di apprendimento ma soprattutto di motivazione allo studio.
Il digitale è ormai il futuro anche dell’educazione. Quali sono le strategie e gli strumenti su cui investire per rendere l’istruzione sempre più inclusiva?
Non ritengo che il digitale sia il futuro dell’educazione, ma sia un ambito da integrare e valorizzare nel contesto educativo per eccellenza che è la scuola. L’istruzione è prima di tutto un diritto, lo ricorda bene la Convenzione Onu sui Diritti dell’Infanzia e dell’Educazione (Art.28 – 29).
Uno delle maggiori evidenze di questa pandemia riguarda il ruolo predominante della tecnologia nelle nostre vite, purtroppo le condizioni di accesso e disponibilità non sono uguali per tutti. Anche in Italia, quella che abbiamo definito “la povertà educativa digitale” ha colpito un numero importante di bambine/i e adolescenti.
Nel nostro paese, in poco più di dieci anni, la povertà minorile è aumentata di dieci punti percentuali e ha raggiunto nel 2020 il suo massimo storico degli ultimi 15 anni. Nell’ultimo anno, i bambini in povertà assoluta, infatti, sono diventati 1 milione e 346mila, più di 1 su 10 e oltre 200mila in più rispetto all’anno precedente.
La povertà educativa è fortemente condizionata dalla povertà materiale e la povertà educativa digitale ne è una conseguenza diretta. I minori che provengono da famiglie svantaggiate, dal punto di vista economico e sociale, generalmente hanno maggiori probabilità di non raggiungere il livello minimo di competenze ad esempio in matematica, scienze e lettura, di non svolgere attività culturale, ricreativa, sportiva, ed essere a rischio abbandono scolastico. La mancanza di strumenti tecnologici, ha aggravato le difficoltà in questo ultimo anno per bambini e ragazzi che provengono da famiglie in condizioni di vulnerabilità. Le famiglie più svantaggiate dal punto di vista socioeconomico sono anche quelle dove minore è la presenza di strumenti quali tablet e personal computer, più funzionali allo studio. Ma la povertà educativa digitale, vista non solo dal punto di vista del digital divide, colpisce più in generale tutti i bambini e ragazzi e riguarda la capacità dei ragazzi di conoscere e applicare le “regole” che determinano la vita nel mondo virtuale e la capacità di districarsi tra opportunità e pericoli della rete.
La povertà educativa digitale non è soltanto associata alla presenza di strumenti digitali a casa, ma anche al loro utilizzo, in termini di ore. Maggiore è il tempo dedicato all’utilizzo degli strumenti digitali per seguire le lezioni online o fare i compiti, migliori sono i risultati in termini di competenze relative all’alfabetizzazione digitale di base. Al tempo stesso, da una nostra recente analisi, realizzata in collaborazione con il CREMIT, si evince che un maggior tempo dedicato anche all’attualità, può essere benefico per l’apprendimento. Il 35,9% dei ragazzi che non dedicano tempo alla ricerca di notizie sull’attualità o su temi di particolare interesse non raggiungono un livello minimo di competenze alfabetiche digitali, contro il 16,7% dei coetanei che vi dedicano un’ora o più al giorno. Minore è il tempo che i bambini impiegano per stare sui social o giocare online, maggiore il livello di competenze riguardanti l’uso consapevole dei nuovi media in relazione all’identità digitale, le implicazioni sociali, culturali ed etiche e le conseguenze delle proprie azioni online. Il 33,3% ed il 39,7% dei minori che non sta sui social non raggiunge il livello minimo di competenze digitali necessarie all’apprendimento e alla vita sui social, a fronte del 47.5% e 50.9% per coloro i quali vi dedicano un’ora o più al giorno.
C’è il pericolo che alla fine delle emergenze sanitarie ed economica, i paesi in maggiore difficoltà economica possano sprofondare in uno stato di assoluta e irreversibile povertà educativa?
In un recente studio promosso dalla nostra associazione a livello internazionale, dal titolo: Save Our Education: Protect every child’s right to learn in the COVID-19 response and recovery, si evince che almeno 10 milioni di minori sono a rischio di non fare ritorno a scuola a causa dell’impatto economico del virus e della crescente povertà minorile, un dato probabilmente sottostimato. Le conseguenze economiche della pandemia stanno già mettendo sotto pressione la situazione finanziaria delle famiglie in un momento di crescita della povertà minorile[4].
A seguito delle conseguenze economiche della crisi da COVID-19, ulteriori 2,5 milioni di bambine sono a rischio di matrimonio precoce nei prossimi cinque anni e si stima che le gravidanze adolescenziali siano aumentate fino a 1 milione solo nel 2020.[5]
A questo proposito, già ora stiamo vedendo indizi di aumentati rischi per i bambini e le bambine che possono spingerli ad abbandonare definitivamente la scuola.
Quando i bambini e le bambine non frequentano la scuola, il loro livello di istruzione non solo si ferma, ma è anche probabile che regredisca. Da un’indagine svolta a livello mondiale dalla nostra associazione su 25.000 minori e caregiver è emerso che quattro minori su cinque hanno dichiarato di imparare poco o nulla non frequentando la scuola. La probabilità di assenza di apprendimento durante il periodo di chiusura delle scuole è inoltre maggiore tra le bambine e i minori sfollati e provenienti da situazioni familiari di povertà.[6]
A livello mondiale, la perdita dell’apprendimento avrà conseguenze a lungo termine sulla situazione economica causata dalla pandemia da COVID-19. Secondo la Banca Mondiale, una chiusura delle scuole di cinque mesi di durata potrebbe causare una riduzione media di 872 dollari del reddito annuo di ogni studente attualmente in età da scuola primaria e secondaria, mentre il costo economico a lungo termine dell’apprendimento perso potrebbe ammontare fino a 10.000 miliardi di dollari.[7]
Quali sono le vie che gli Stati più influenti devono seguire per evitare questo plausibile scenario critico?
In un momento in cui le autorità nazionali dovrebbero investire sui minori e sulla loro istruzione, i fondi disponibili vengono ridotti dalla recessione e dal drenaggio della spesa pubblica verso l’ambito sanitario e la ripresa economica. L’Unesco stima che ogni anno vi sia un gap di fondi pari a 148 miliardi di dollari nei Paesi a basso e medio-basso reddito per il raggiungimento dell’Obiettivo di Sviluppo Sostenibile 4 (SDG4), che mira a fornire un’educazione di qualità, equa ed inclusiva per tutti entro il 2030. Una loro recente ricerca suggerisce che i costi aggiuntivi dovuti alla chiusura delle scuole, connessa al COVID-19, rischiano di aumentare tale gap fino a quasi un terzo, in una misura variabile fra i 30 e i 45 miliardi di dollari.[8]
È pertanto fondamentale che, in conformità alla Dichiarazione GEM 2020 dell’UNESCO, di recente approvazione, tutti i governi nazionali si impegnino a mantenere o aumentare la rispettiva quota di spesa pubblica destinata all’istruzione.[9]
È inoltre indispensabile un aumento dei finanziamenti internazionali. Molti dei Paesi più poveri del mondo, in particolare in Africa, stanno affrontando la congiuntura economica negativa con un margine di manovra fiscale già ridotto e ora ulteriormente in contrazione, per via delle conseguenze della recessione e un intensificarsi dei problemi connessi al debito estero. I Paesi ricchi hanno dato risposta alla crisi da COVID-19 ribaltando le proprie politiche fiscali e monetarie e sottoscrivendo ambiziosi piani di recupero dell’economia nazionale. Sarebbe auspicabile che fossero altrettanto coraggiosi nel sostenere l’istruzione nei Paesi poveri. Per questo motivo, i governi e la Banca Mondiale devono prendere atto della gravità della situazione e degli ingenti costi-opportunità che nasceranno non facendo fronte a queste sfide.
Save the Children chiede in particolare di investire in questi 5 tipologie di interventi: Trasferimenti di denaro mirati – Lezioni di recupero – Sistemi idrici, di sanificazione e igienici (Water, Sanitation, and Hygiene, WASH) nelle scuole – Campagne di ritorno a scuola – Sviluppo professionale dei docenti.
Concludo dicendo che è fondamentale che i governi affrontino le barriere di genere nell’istruzione, anche in termini di leggi, politiche e norme sociali che impediscono alle ragazze di continuare il percorso formativo se incinte, sposate o madri. Infine, inoltre si dovrebbe assicurare che i minori rifugiati, sfollati interni e colpiti da conflitti siano inclusi nei piani educativi nazionali di risposta al COVID-19.
Dati riportati da Francesca Bilotta:
[1] Povertà educativa: preoccupano i numeri. Una risposta viene dal Terzo Settore
[2] https://www.istat.it/it/files//2020/07/Livelli-di-istruzione-e-ritorni-occupazionali.pdf
[3] https://s3.savethechildren.it/public/files/uploads/pubblicazioni/i-giovani-ai-tempi-del-coronavirus.pdf
[4] Save the Children, ‘Coronavirus’ invisible victims: Children in monetary poor households’ (30 June 2020) https://www.savethechildren.ora.uk/bloas/2020/coronavirus-invisible-victims-children-in-monetaru-poor-househol
[5] Save the Children (2020) The Global Girlhood Report 2020: How COVID-19 is putting progress in peril (London: Save the Children) https://resourcecentre.savethechildren.net/node/18201/pdf/alobal girlhood report 2020 africa version 2.pdf
[6] Save the Children (2020) Protect A Generation: The impact of COVID-19 on children’s lives (London: Save the Children) https://resourcecentre.savethechildren.net/libraru/protect-aeneration-impact-covid-19-childrens-lives
[7] Brookings (2020) The COVID-19 cost of school closures, https://www.brookinas.edu/bloa/education-plus-development/2020/04/29/the- covid-19-cost-of-school-closures/
[8] UNESCO (2020) Act Now: Reduce the impact of COVID-19 on the cost of achieving SDG4 https://unesdoc.unesco.Org/ark:/48223/pf0000374163
[9] UNESCO, (2020). Education post-COVID-19: Extraordinary session of the Global Education Meeting Declaration. https://en.unesco.ora/sites/default/files/aem2020-extraordinaru-session-draft-declaration-en.pdf