Il World Youth Report 2020 prodotto dalle Nazioni Unite (ONU) ha come tema centrale “L’imprenditoria sociale giovanile e l’Agenda 2030”. L’obiettivo del rapporto è di collegare l’imprenditoria sociale giovanile al raggiungimento dell’Agenda 2030, cioè mostrare come essa contribuisca al raggiungimento degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile. Questa relazione è partita dall’osservazione della triste situazione dei giovani nel mondo, per quanto riguarda il lavoro, e propone l’imprenditoria sociale come soluzione sostenibile per combattere la disoccupazione giovanile.
I giovani sono sempre più disoccupati
Secondo le stime delle Nazioni Unite, «i giovani dai 15 ai 24 anni sono 1,21 miliardi e rappresentano il 15,5% della popolazione mondiale. Le proiezioni prevedono che la coorte di giovani raggiungerà 1,29 miliardi (15,1 per cento del totale mondiale) entro il 2030 e quasi 1,34 miliardi (13,8 per cento della popolazione globale) entro il 2050». La disoccupazione tra gli 1,2 miliardi di giovani del mondo è molto più alta di quella degli adulti, e il Covid-19 ha peggiorato le loro prospettive di lavoro.
Il rapporto nota anche che «la quota di giovani nella forza lavoro globale è diminuita dal 21% nel 2000 al 15% nel 2018. Anche la partecipazione della forza lavoro giovanile come quota della popolazione giovanile totale è diminuita in questo periodo, dal 52,7% (573 milioni su 1,089 miliardi) nel 2000 al 42,9% (511 milioni su 1,19 miliardi) nel 2018». Secondo l’Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL), «600 milioni di posti di lavoro dovrebbero essere creati nei prossimi 15 anni per soddisfare le esigenze occupazionali dei giovani».
Tali cifre preoccupanti richiedono soluzioni, tra cui l’imprenditoria sociale, che attrae sempre più giovani.
La forza dell’impresa sociale
Il rapporto delle Nazioni Unite sull’imprenditoria sociale giovanile mostra che questo settore di attività può contribuire alla creazione di posti di lavoro sostenibili e inclusivi. L’imprenditorialità sociale è definita come «l’attività imprenditoriale intrapresa allo scopo esplicito di risolvere i problemi della società». Si riferisce quindi alle imprese che generano profitti cercando di generare impatto sociale.
Questo tipo di impresa ha il vantaggio, dice il rapporto, di creare posti di lavoro soprattutto quando si trovano in «aree geografiche che non sono attraenti per le imprese commerciali, [in quanto] possono aiutare a rianimare le economie locali e creare nuove opportunità di lavoro». Il rapporto osserva anche che nel 2016 «le imprese sociali hanno beneficiato a 871 milioni di persone in nove Paesi dell’Europa e dell’Asia centrale, fornendo servizi e prodotti per un valore di 6 miliardi di euro e creando posti di lavoro, soprattutto tra i gruppi sociali più emarginati». In Australia, le imprese sociali hanno generato «il 2-3% del PIL, creando posti di lavoro per 200.000 persone, e sembra che queste cifre potrebbero salire al 4% del PIL e 500.000 posti di lavoro nei prossimi dieci anni».
Questi sono esempi che dimostrano sufficientemente il ruolo importante che queste imprese svolgono nell’affrontare i problemi della disoccupazione giovanile. Un altro punto di forza rilevato dal rapporto, riguardo all’impegno di un gran numero di giovani nelle imprese sociali, è che «le caratteristiche degli individui che si impegnano con successo nell’imprenditoria sono la creatività, la resilienza, l’ispirazione, la tolleranza al rischio e l’orientamento all’azione». Questo «è di per sé una risorsa nel contesto attuale, poiché queste qualità attitudinali e comportamentali sono spesso presenti nei giovani», afferma il rapporto delle Nazioni Unite.
A livello educativo, il rapporto nota anche il contributo significativo dell’imprenditoria sociale in quanto «offre un complemento significativo ai modelli educativi tradizionali, aiutando i giovani ad acquisire le competenze del 21° secolo, che sono in gran parte focalizzate su “cosa c’è dopo”, piuttosto che “cosa c’è adesso”. Queste abilità rientrano in quattro categorie principali, spesso indicate come le “quattro C”: pensiero critico e problem solving, comunicazione, collaborazione e creatività. Le competenze del 21° secolo non sono nuove; sono semplicemente “di nuova importanza” perché sono strettamente legate all’attuale ambiente di innovazione economica, sociale e scientifica».
Possiamo quindi dire che le imprese sociali sono un supporto su cui possiamo contare per raggiungere gli obiettivi di sviluppo sostenibile (SDGs) dell’Agenda 2030 perché l’imprenditoria sociale incide su quasi tutti gli SDGs, in particolare quelli relativi alla riduzione della povertà (SDG 1) e della fame (SDG 2), alla piena occupazione (SDG 8) e alla protezione dell’ambiente (SDG 13 e 15). Tuttavia, al di là dei vantaggi di questo tipo di imprenditoria, bisogna notare che affronta un certo numero di rischi per quanto riguarda la sua capacità di dare piena occupazione ai giovani.
Alcune sfide dell’imprenditoria sociale
Tra i rischi, il rapporto dell’ONU punta il dito soprattutto contro la scarsa esperienza professionale dei giovani, nel senso che «si lanciano nell’avventura senza sufficiente conoscenza, formazione o pratica e sono in svantaggio sul mercato». A questo si aggiunge la spinosa questione dell’accesso al capitale, che, va sottolineato, è il tallone d’Achille di diversi paesi. Il potenziale del modello di imprenditoria sociale giovanile è quindi «indebolito dalla dipendenza dei giovani dagli altri e dal loro limitato capitale finanziario». Il rapporto fa la spiacevole osservazione che «molti Paesi hanno quadri legali in atto che possono limitare l’impegno attivo dei giovani nelle sfere economiche, finanziarie, sociali e politiche» e afferma che queste «restrizioni legali e normative, spesso arbitrarie, possono seriamente ostacolare la crescita dell’imprenditoria sociale giovanile in alcuni paesi». Il terzo rischio è quello del digital divide: l’accesso inadeguato alla tecnologia tra i giovani esacerba ulteriormente le disuguaglianze all’interno e tra i paesi.
Il World Youth Report 2020 conclude che «l’imprenditoria sociale rappresenta un’opzione di lavoro autonomo molto promettente e socialmente vantaggiosa per i giovani, ma non è una panacea per lo sviluppo giovanile e non solleva in alcun modo i responsabili politici dal loro obbligo più ampio di affrontare le esigenze dei giovani in modo globale e sostenibile».
L’Italia, leader europeo nel numero di imprese condotte da giovani
I dati rilasciati da UnionCamere nel settembre 2020 indicano un boom del settore agricolo. Nonostante la pandemia di Covid-19 sia in pieno svolgimento nel 2020, gli under 35 sono emersi nel settore agricolo con un record di 55.046 imprese agricole gestite da loro. Questo rappresenta una crescita del 14% in 5 anni (periodo 2015-2020). Le imprese agricole gestite dagli under 35 rappresentano il 10% del settore. Ciò significa che 1 impresa agricola su 10 in Italia è gestita dai giovani. Questa performance fa dell’Italia il «leader europea nel numero di imprese condotte da giovani, anche grazie alla svolta green nei consumi e nel lavoro favorita dalla pandemia» dice la Coldiretti.
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