Abbiamo bisogno di cittadinanza scientifica, per il bene nostro e della società

Una scienza più condivisa e partecipata, più spirito critico, più formazione: è questa la strada contro le fake news che fanno male alla società, alla politica, all'economia

Lo scorso 11 novembre, nell’aula Sironi dell’Università Bicocca di Milano, si è svolto l’evento “Alla ricerca della cittadinanza scientifica-dialoghi tra ricercatori e cittadini per una scienza condivisa e partecipata”, volto ad approfondire la tematica riguardante la ricerca della cittadinanza scientifica e organizzato dal MaCSIS, Master in Comunicazione della Scienza e dell’Innovazione Sostenibile. L’evento è stato promosso con la collaborazione di Scienzainrete.it, testata di attualità e cultura scientifica che si pone l’obiettivo di informare il dibattito pubblico con un giornalismo basato sulle conoscenze e sul metodo scientifico, dando voce a ricercatori e ricercatrici. Si propone, quindi, come “mediatrice culturale” tra il mondo della ricerca e la società, per offrire al pubblico strumenti chiari e utili per comprendere meglio ciò che accade.

La scienza è molto importante, ha affermato di recente la Royal Society, una delle più antiche accademie scientifiche del mondo. E da qualche anno lo ribadisce anche la National Science Foundation: è cambiata la geografia della scienza. E, di conseguenza, è cambiata anche quella della conoscenza. La scienza acquisisce così una dimensione universale e attuale. Non si tratta di un cambiamento come tanti. Si tratta di un mutamento storico e forse anche epocale al tempo stesso. Perché la conoscenza scientifica è il motore principale del sistema produttivo del pianeta. In altre parole, è l’elemento che caratterizza la nostra epoca ed è proprio nella modernità che si affermano i diritti della cittadinanza scientifica. Che, come nota il sociologo Giancarlo Quaranta, non sono semplicemente diritti di accesso all’informazione scientifica, ma anche diritti di socializzazione della scienza.

I cinque principi della cittadinanza scientifica

Ci sono cinque principi attraverso il quale la cittadinanza scientifica si sviluppa: (li ritroviamo in “Minerva Web”, bimestrale della Biblioteca Giovanni Spadolini, a cura del Settore orientamento e informazioni bibliografiche, Senato della Repubblica, n°23, giugno 2009).

  • I diritti di cittadinanza scientifica comportano un rapporto tra Stato e comunità scientifica in senso stretto.
  • I diritti di cittadinanza scientifica implicano un rapporto maturo, trasparente e rispettoso tra comunità scientifica e imprese.
  • I diritti di cittadinanza implicano un rapporto particolare tra stato e imprese. Anche quest’ultime, devono riuscire ad essere trasparenti e mature.
  • I diritti di cittadinanza implicano un dialogo stretto, maturo, rispettoso tra comunità scientifiche e cittadini.
  • I nuovi diritti di cittadinanza scientifica implicano un rapporto nuovo tra Stati e cittadini. Sia attraverso forme di partecipazione attiva dei cittadini che attraverso forme che diano sostanza all’idea che la cultura scientifica ed anche la conoscenza sia non solo accessibile a tutti, ma utilizzabile da tutti.

Educare alla partecipazione

Su questi e altri si è lavorato nel convegno “Alla ricerca della cittadinanza scientifica-dialoghi tra ricercatori e cittadini per una scienza condivisa e partecipata”. L’intento, infatti, è stato anche quello di avviare un dibattito sulla possibilità di formare cittadini critici e reattivi di fronte a ciò che si legge o si intuisce a riguardo delle scoperte scientifiche, attraverso un’indagine minuziosa, critica e sottile della ricerca scientifica in quanto tale. Proprio a tal proposito, uno dei progetti di cui si è discusso si chiama “Educare alla partecipazione: insegnamento e politica”. Il filo conduttore è riuscire a trasmettere determinati valori con lo scopo di sviluppare uno spirito critico così da poter essere attivi nella società, fin da piccoli. 

«Con “educare alla partecipazione” si intende educare alla cittadinanza democratica. Queste due parole sono essenziali per insegnare a convivere sin da bambini secondo determinati valori. Educare alla cittadinanza significa imparare a convivere e a prendere parte per formarsi come individui, sviluppando uno spirito critico che consenta di essere attivi nella società, riuscendo così a trasmettere cultura», ha affermato Luisa Zecca, docente di didattica e pedagogia speciale presso l’Università di Milano-Bicocca.

Per aiutare a formare il senso critico, ricoprono un ruolo importante le scuole e gli educatori scolastici perché devono far in modo che i più piccoli possano assimilare la cultura e sviluppare un atteggiamento di apertura nei confronti dell’altro.

Perché si diffondono le fake news

Nel mondo di oggi, spesso si creano gap culturali tra scuola e famiglia e di conseguenza molti devono riuscire a costruirsi la propria idea di mondo in modo autonomo. Per questo motivo è importante sviluppare la conoscenza culturale e scientifica, come ribadito nel progetto “Educare alla partecipazione”, anche se nell’era della digitalizzazione non è sempre facile. Nella modernità, infatti, molto velocemente e, purtroppo, in modo superficiale, si diffondono sempre più attraverso la rete notizie antiscientifiche: le fake news, si diffondono presto facendo anche danni. I principali motivi che causano la loro diffusione sembrano essere (secondo l’enciclopedia Treccani):

  • Le cattive abitudini dei lettori. Questo perché oggi molte persone si limitano solamente a scorrere le principali notizie sui propri dispositivi digitali e guardano frettolosamente i titoli degli articoli senza approfondire.
  • Produrre fake news non è poi così difficile, in quanto basta avere un computer e una connessione internet per produrre e diffondere notizie false.
  • Molte persone, infine, sembrano preferire ai fatti documentati le notizie che fanno leva sull’emotività, ed è anche questo il motivo per cui questa tipologia di notizie si diffonde con una facilità estrema e sempre più incontrollabile.

 

Le notizie false influiscono sulla vita sociale, politica e sull’economia del Paese. Soprattutto la pandemia causata dalla diffusione del virus di Covid-19, ha ulteriormente accentuato la circolazione, senza controllo, della disinformazione online, alimentata anche attraverso la condivisione di frequenti news su scenari “complottistici” alternativi alla descrizione delle fonti scientifiche ufficiali. Questo anche perché durante l’emergenza pandemica sono circolate una quantità eccessiva di informazioni (infodemia) soprattutto attraverso la rete e sui social network. Emerge dal Rapporto dell’Osservatorio sul giornalismo che il 73% dei giornalisti italiani si è imbattuto in casi di fake news: il 78% di questi almeno una volta a settimana, mentre il 22% addirittura una volta al giorno. Per questo uno strumento per contrastare la disinformazione sta nella capacità di sviluppare un pensiero critico di fronte a ciò che si legge e di far rifermento solamente a fonti scientifiche affidabili.

L’arrivo della rivoluzione digitale ha, quindi, contribuito a trasformare molti aspetti della vita lavorativa del professionista dell’informazione: dal processo di raccolta e di produzione delle notizie fino ad arrivare ai molteplici canali di distribuzione e di fruizione di queste ultime da parte dei lettori.

Un cambiamento troppo rapido

Insomma, il web con le sue caratteristiche ha rivoluzionato e ancora oggi rivoluziona il paradigma organizzativo. Due cose sembrano essere però certe: il fatto che gli scenari che possono aprirsi con la rivoluzione digitale sono in costante evoluzione, soprattutto in questi ultimi anni, e che il sapere scientifico si deve diffondere ed accrescere sempre con maggior vigore per poter combattere fenomeni pericolosi come appunto quello della diffusione di notizie false. Tutto questo è possibile solo attraverso una maggiore consapevolezza di quanto la scienza sia importante non solo per la comunità scientifica, ma anche per i “non addetti ai lavori”.

«Siamo in un momento di grandi cambiamenti molto rapidi, che riguardano l’ambiente e la salute», ha affermato Liliana Cori, ricercatrice del Consiglio Nazionale delle Ricerche, durante il convegno. «Erano inizialmente temi non collegati tra loro, oggi invece sono entrati nell’immaginario delle persone con grande impeto, a causa essenzialmente della pandemia. Come affermava Pietro Greco, che era un giornalista scientifico e scrittore – ha concluso Cori – la cosa più preoccupante era la comunicazione parziale, diffusa soprattutto durante l’emergenza pandemica. Per questo motivo affermava che era necessario creare un istituto terzo, con lo scopo di riuscire a fare una giusta comunicazione, in quanto custode di credibilità e fiducia al tempo stesso. Pietro Greco aggiungeva inoltre, che la cittadinanza scientifica, è quella in cui i cittadini riescono ad emergere con le loro esigenze e a cui gli scienziati devono riuscire a dare risposte».

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