Don Carlo Maria Zanotti è salesiano di Don Bosco e allo stesso tempo è un professore nella Facoltà di Scienze dell’Educazione presso l’Università Pontificia Salesiana di Roma. “Rendete luminosa la vita! I dieci diamanti di don Bosco offerti ai giovani d’oggi” e “Il sogno dei dieci diamanti” sono due importanti libri da lui scritti.
Come salesiano, da diversi anni lavora nell’ambito della formazione dei giovani salesiani. È stato Maestro dei Novizi, formatore nei pre-noviziati e anche per gli studenti di teologia. Oggi, in virtù di tutta la sua esperienza formativa, come predicatore e animatore è punto di riferimento nell’ambito vocazionale più ricercato in tutt’Italia. Infatti, avere un appuntamento per questa intervista è stato molto difficile, ma nonostante tutto ha dedicato circa 45 minuti a conversare e spiegare la formazione dei giovani religiosi di oggi.
Cos’è la formazione per un ragazzo o una ragazza che sceglie la vita consacrata?
«Formazione è lavorare su se stessi e quindi conoscersi, accettarsi e rendere la propria vita disponibile per qualcuno».
Quali sono gli aspetti più importanti della formazione dei giovani religiosi di oggi?
«È una domanda impegnativa, perché i temi di formazione sono diversi; ma credo che la cosa più importante per i giovani di oggi sia riuscire a capire come dare unità alla propria vita e quindi alla verità di se stessi. Vedo che nei giovani c’è proprio questo desiderio di trovare un’unità profonda. In tutto quello che loro pensano e vivono, la formazione si mette accanto a loro nella ricerca di questa verità come servizio, che diventa poi anche gratificazione, gioia, senso, significato: sintetizzerei così questi aspetti diciamo più importanti per i religiosi di oggi».
Pensa che il post Covid possa diventare un momento opportuno per recuperare una nuova modalità o un nuovo slancio della formazione?
«Certamente sì, perché la pandemia è stata una grande prova, un grande disagio. Ed è stata in molti anche un’inquietudine, che ha però confermato l’importanza della relazione. Quindi, credo che la fase di ripartenza possa diventare veramente un momento opportuno per recuperare questa modalità. Questo nuovo slancio, per me, è relazione: la relazione con se stessi, con Dio, con gli altri; e poi una relazionalità che sia profonda e che sia quindi evangelica. Credo che questa sia non solo la modalità e lo slancio della formazione di oggi, ma anche una grande sfida, cioè aiutare le persone, i giovani in modo particolare, a vivere una relazionalità che sia una parola controcorrente anche per il mondo di oggi, quindi una parola evangelica, caratterizzata dal Vangelo».
Quando parlava c’era un’altra domanda nella mia testa: «Trova qualche aspetto positivo o elementi negativi da migliorare in tale situazione?»
«Tra gli aspetti negativi c’è certamente l’isolamento, che ha creato tanta sfiducia nei giovani e in alcuni casi anche forme di depressione. Tra gli elementi positivi, come ho detto, cito il risveglio di un’esigenza fondamentale per la vita di tutti: il bisogno degli altri. Per me questo è aspetto positivo: nella crisi, nella fatica del noi, abbiamo visto come non possiamo vivere da soli, come non possiamo fare a meno degli altri. Certo, adesso nell’ambito formativo bisognerà ricucire tante ferite, tante fatiche e ridare entusiasmo e la gioia di una buona relazione».
Come incidono sulla formazione dei giovani religiosi le nuove tecnologie digitali, in particolare i social? Qual è la sua esperienza proposito?
«L’incidenza delle nuove tecnologie è fortissima, cioè ci siamo immersi nelle nuove tecnologie, non possiamo farne a meno; anzi, i giovani di oggi nascono proprio con abilità diverse rispetto al passato, quindi siamo veramente circondati. Però, penso che sia importante pensare alle tecnologie non come un problema: sono una risorsa, sono una cosa molto bella. Certo, bisogna educarsi a vivere bene queste tecnologie e a vivere nella tecnologia utilizzando questi strumenti, ma sempre però con questa dimensione relazionale. Ecco, l’aspetto caratterizzante della comunicazione nei social sta nell’aspetto relazionale. Allora, se si formano i giovani a questo, poi i social veramente sono una possibilità e non un problema».
“Consumismo e individualismo sono due caratteristiche del nostro tempo”. Pensa che facciano parte anche del bagaglio umano dei nostri giovani in formazione?
«La risposta è sì. E direi non solo dei giovani, ma anche nostra, perché tutti siamo un po’ “malati o feriti”, in questo consumismo e in questo individualismo ci siamo dentro tutti. La guarigione sta nel pensare alla nostra esistenza, pensare alla vita e in una dimensione diversa che è quella proprio del servizio, dell’aiuto e della carità. Il Papa parla tanto della tenerezza. Mi ha colpito, per esempio, nell’enciclica Fratelli tutti, il passaggio dedicato ad un’amicizia possibile anche a livello sociale. E lui parla proprio della tenerezza come strumento per vincere questa mentalità del consumismo, dell’individualismo. In una società che ti spinge a vivere da solo o a prevaricare gli altri, la strada da seguire è quella della della tenerezza, del servizio, dell’aiuto, della carità. Queste sono le strade, direi, della guarigione. Non le uniche, certo, però forse le più importanti, anche dal punto di vista formativo».
Per concludere questa nostra conversazione, quale tipo di messaggio vuole lasciare ai giovani?
«Io vorrei dire di non avere paura, di sentirsi sempre in cammino, cioè di non sentirsi mai arrivati, ma di sentire proprio la vita come un percorso. Percepire la formazione come una necessità costante e permanente. Quindi non esistono dei periodi della vita in cui è importante la formazione e altri in cui meno. No, siamo sempre in cammino. Se un giovane si sente in cammino e vive la sua esistenza in una prospettiva di un processo di crescita, sarà sempre sereno, sempre felice. Troverà sempre la forza di affrontare ogni situazione».