Tra “abile” e “disabile”: alla ricerca della parola giusta

È difficile trovare un termine che non sia offensivo e sminuente. Si potrebbe provare con “persona peculiare”

Il termine abile, secondo il vocabolario Treccani, significa «idoneo, adatto a qualche cosa». Troviamo invece in un altro dizionario la descrizione della suddetta parola come «essere capace di qualcosa e riconosciuto da qualcuno». Il termine disabile invece, sempre secondo il vocabolario Treccani, si riferisce «a soggetti che abbiano qualche minorazione fisica o anche psichica di grado relativamente non grave…» Guardando questi due termini, diventa difficile considerare soddisfacente e adeguata la parola “Disabile”, in riferimento alle persone, come si è soliti fare.

La ricerca della parola giusta

Utilizzare il termine “disabile” potrebbe lasciare intendere che ci riferiamo ad una persona in modo non gentile, svalutando così le sue potenzialità. Dunque, è importante capire che, quando parliamo di una persona, siamo davanti ad un essere che prova delle emozioni; perciò, è importante essere consapevoli che qualsiasi essere umano è il prodotto della creazione di Dio, creato a sua immagine e somiglianza, e che per questo motivo è tenuto al rispetto e alla difesa della vita.

Per questo motivo, credo sia opportuno cercare nuovi ed adeguati termini da impiegare nel modo giusto, sia dal punto di vista linguistico che da quello culturale, in considerazione del fatto che è importante fare attenzione a non usare alcuni termini in modo dispregiativo, con il fine di offendere qualcuno, a causa del suo stile di vita, del suo modo di parlare, di camminare, di mangiare (in fondo basta poco: basti pensare alle persone che sono a dieta e che non possono prendere il caffè al mattino né lo zucchero, i dolci, o il sale, ecc.).

L’espressione “disabile” risulta essere irrispettosa, poco umana; noi preferiamo utilizzare (e ci farebbe piacere) l’espressione “persone peculiari”. Questo modo di definire alcune persone – che hanno perso le loro capacità a seguito di un incidente, o per motivi psicologici, o anche perché nascono con alcuni problemi fisici – forse, sarebbe più giusta, perché tutti abbiamo comunque una nostra singolarità a seconda delle nostre capacità.

Allora, se questa è la nostra realtà, nasce la seguente domanda attorno a questa tematica: chi è l’abile e chi il disabile?

Chi è l’abile e chi il disabile?

La risposta si potrebbe trovare nei termini che si utilizzano e che appartengono alla nostra cultura, al modo in cui ragioniamo e i cui significati, sotto il profilo umano, etico e morale, sono tali da permetterci di affrontare questo problema. Nel libro di Genesi (2,27), leggiamo che «Dio creò l’uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò». Siamo tutti il riflesso di Dio, “abilità” compresa; quindi, è corretto dire che nessuno è disabile perché tutti siamo simili a Lui; è vero che non abbiamo tutti le stesse capacità, la stessa forza ed energia, ma siamo creati allo stesso modo e abbiamo gli stessi diritti, anche se siamo abitanti di differenti Paesi e per questo abbiamo lingue, culture e origini diverse.

Quando chiamiamo qualcuno “disabile”, con il fine di svalutarlo, siamo davanti ad un problema non solo linguistico e culturale, ma anche indicativo di una nostra mancanza di umanità e di rispetto verso gli altri e di una perdita di senso sociale, etico e morale, purtroppo tipico della società contemporanea. Nessuno è disabile, ognuno di noi ha delle capacità, anche quando il corso della vita potrebbe porci di fronte a incidenti o malattie che comportando una conseguente difficoltà, ognuno comunque è e sarà sempre una persona umana, quindi, “persona peculiare”, con la stessa dignità.

Condivido infatti quanto scritto nella Carta dei Diritti Umani, publicata dall’ONU il 10 dicembre 1948: un documento universale che riconosce la dignità di tutti (uomini e donne, bambini e giovani, adulti, anziani) nei suoi articoli 1 e 2.

È necessario ragionare e lavorare per ritrovare parole che siano conformi alla logica dell’uguaglianza dei diritti e della giustizia, che ci aiutino a trattare tutte le persone in modo da non togliere loro sani valori, come quello di essere caritatevoli, e di conservare valori più umani, etici, culturali, morali, che salvaguardino il rispetto e rassicurino la virtù della reciprocità; ciò che ho io, tu non che l’hai e ciò che hai tu, lui non ce l’ha, ma è vero che tutti noi abbiamo comunque qualcosa da dare a prescindere, che siamo abili o che siamo disabili.

Ci sono alcune figure internazionali che possiamo prendere come esempio di “persone peculiari”, proprio per le loro capacità peculiari e straordinarie:

  • Tony Meléndez – del Nicaragua. È una figura emblematica, che suona la chitarra con i piedi.
  • Andrea Bocelli – l’Italiano che canta e incanta le persone in tutto il mondo, anche quelle che non capiscono l’italiano. Ha una voce potentissima.
  • José Armando Sayovo – dall’Angola, l’atleta che ha vinto l’ACA–African Champion Atletic e possiede una peculiare situazione visuale.

Sono tanti l’esempi che possiamo raccontare per farci capire che la peculiarità è un valore da considerare sempre.

«Tutti siamo peculiari, siamo soggetti delle cose peculiari».

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